Nativi digitali
Stamattina, appena sveglio hai scavalcato i cuscini, indomito verso l’interruttore: “click” e hai acceso la luce come un vero ometto, incantato dal risultato l’hai rifatto più volte, giusto per esercitarti e tenerlo a mente. Adesso capisci bene la differenza tra una casualità e una certezza. Ora sei qui che trotterelli veloce su due zampette, che sgranocchi biscotti sbriciolando in giro, che schiacci i pulsanti che accendono luci e suoni dei giochi ridendo soddisfatto. Dopo un po’ inizio a notare che frigni senza motivo e dopo un paio di tentativi per distrarti capisco che hai sonno, due minuti di mamma tutta per te e crolli, cotto dalle attività della mattina cominciata un po’ troppo presto. E io nel guardare i tuoi occhietti chiusi, il braccino all’insù da vero relax sciallo e la bocca semi aperta (ci manca solo la bollicina come nei cartoni giapponesi), rivado in un lampo allo stesso orario di un anno fa.
A quell’ora ero già in travaglio a casa, ma le contrazioni erano sopportabili e ho aspettato, memore dell’esperienza passata (induzione perché sono corsa in ospedale appena rotto il sacco). Ricordo come ho fatto fare colazione ai bambini e ho sorseggiato solo un po’ di tè caldo perché iniziavo a intuire che la situazione forse era “quella giusta” dopo tanti falsi allarmi. Ad un certo punto quel cambio di passo improvviso che mi faceva accucciare sul pavimento dal male, ma proprio mentre citofonava mio suocero, perché non volevo che i piccoli di casa mi vedessero sofferente, e sono stata esaudita. E poi il papà che, in preda all’agitazione, nella migliore tradizione da fiction (vedi Peppa Pig 😛 ) sbaglia strada allungandola e incappando nel traffico della mattina. Io che arrivo stremata al controllo ma vengo accolta con i complimenti delle ostetriche nel vedermi a 3/4 di travaglio e così paziente nel fargli accertare se questo benedetto sacco era rotto o no e se in alto o meno. Il divertente siparietto della praticante che voleva farmi firmare tutti i fogli “ma signora, tranquilla che al primo figlio i tempi sono lunghi” e io “ma che primo??? è il terzo e un altro po’ nasce in sala accettazione!!!” e allora di corsa sul lettino e infatti poco dopo sono iniziate le spinte. Ricordo il dolore pieno di amore, nonostante in quel lasso così ridotto sia rimasta con la voce rauca da quanto mi sono sfogata, come se uscisse senza che potessi controllarla (una sensazione che non dimenticherò mai!). E’ stato un dolore intensissimo ma molto diverso dal primo che mi aveva gettata nel panico e sfiduciata. No: stavolta sapevo che tutto era partito e procedeva come doveva. E non ho invocato droghe o cesareo ma ho dato tutta me stessa a quelle ondate che stritolano fino a togliere l’aria, ma che a un certo punto, raggiunto l’apice, portano con sé un secondo, lieve respiro che palpita ancora all’unisono, petto a petto. La sensazione calda e rassicurante di essere, in quella saletta, un nuovo “noi”, che fluisce e scorre facendoti sentire una dea dalla potenza sovrumana e al contempo un piccolo puntino nell’universo delle vite, che non ha fatto proprio niente per meritare un simile miracolo. L’infinito, il mistero, nella nascita si fanno una cosa sola con la meravigliosa piccolezza della dimensione “famiglia”: come essere soli al mondo, ma in tre.
Grazie per averci dato tutto questo, piccolo grande Ale: vale, nonostante tutto, le notti in bianco, gli affanni e le difficoltà. Non ha prezzo vederti nascere e crescere: vederti infilare le mutande di Lorenzo come un cappello sulla testolina minuta, parlottare nella tua lingua inventata fatta di “go-ghi go-ghi” e “kòpiti-kòpiti”, mentre ribalti come un calzino un oggetto per studiarlo. Ammirare quel faccino abbassato con l’accenno di doppio mento, preso nell’attenzione proprio come uno studioso che scruta assorto, chino sul microscopio. Vederti prendere i pennarelli e passarli sul foglio proprio come i tuoi fratellini: anche se non esce il colore perché non hai pigiato abbastanza, tu hai disegnato come solo un “unenne” sa fare. Sei piccino ancora, ma già così desideroso di fare da solo. Aspettami, ancora per un po’.
Gli altri 11 mesi di Ale: Click. Click. Click. Click. Click. Click. Click. Click. Click. Click. Click.
2 Comments
Buon compleanno al piccolino di casa!:-))
Quanto amore! Buon compleanno con qualche ora di ritardo. E speriamo davvero che ci aspettino un po’.