Quando ero ragazzina, ero un tipo insicuro: il giudizio altrui mi metteva perennemente in crisi.
Magari facevo anche finta di “fregarmene”, come tutte le piccole donne che vogliono fare le dure ma dentro sono friabili come un biscotto per lattanti.
La prima volta che sono diventata mamma poi, questa sensazione di giudizio, di inadeguatezza ha avuto il suo apice: succede a tempre ben più forti, figuriamoci a me, alias la Moscia Doc.
Quel piccolo di uomo piange e tu, TU madre-#angelodelfocolare non sai cos’abbia, anzi no: lo sanno tutti tranne te. Peccato che per ognuno sia un motivo diverso, così ti trovi con la sensazione di essere totalmente incapace, brancolando nel buio anche dopo la sfilza di consigli non richiesti ma elargiti con una sicumera proverbiale.
E meno male che non ho avuto una di quelle “super mamme”, anche se come tutte, è convinta di avere sempre ragione. Ma almeno l’ansia da prestazione da mamma perfetta, che lavora, cucina manicaretti e ha la casa perfetta, come è successo ad un’amica blogger che ne ha parlato nei giorni scorsi, fiuuu! me la sono scampata. Uno dei pochi lati positivi di venire da una famiglia decisamente lontana dal mulino bianco, sempre che di famiglia si possa parlare.
Mi ci sono voluti tre figli per arrivare alla consapevolezza, però, totale su questo argomento. Tre: sì. Perché due sono normali, avevo maschietto-femminuccia, la “coppia perfetta”, manco dovessero fare i modelli per le figurine di “Love is”.
Tre, specie uno dietro l’altro no, sono strani. E ti espongono alle prime vere alzate di sopracciglio, commenti sgradevoli e facce da urlo di Munch ben poco nascoste.
E io dico grazie: grazie alla mia incoscienza e alle stupide convenzioni. Grazie a quei giudizi esclamati da sconosciuti, che ti fanno la dichiarazione dei redditi guardandoti in faccia o che magari borbottano tra i denti le loro castronerie “ma tu guarda sti ciellini che ancora pensano a figliare con la crisi”.
Eh sì, grazie di cuore. Perché mi avete permesso di distogliere finalmente del tutto l’attenzione, schifata, da voi e mi avete spronata a volgermi all’unico giudizio che davvero conta al mondo e di cui mi preoccupo: quello dei miei figli.
Finché per loro sarò una mamma a cui correre incontro, stringere forte, da ritrarre nei disegni in certi casi pure più alta del papà a dispetto del metro reale, sarò serena. Una mamma normale: che perde la pazienza ma che racconta le storie di fianco al lettino, quando non sviene per prima. Che fa del suo meglio per tenere tutti i pezzi insieme e il quadro, anche se sgangherato, è frutto delle fatiche condivise.
Mi sono ripromessa di andare contro qualsiasi chiacchiericcio o idea preconcetta per loro, se sono o sarò convinta della bontà di una scelta, anche dovesse ricadere su qualcuna impopolare: questa è stata forse una delle più grandi sfide per me e dono che mi sono proposta di fare loro.
Non aspiro ad essere una mamma perfetta, preferisco essere una mamma felice: non me ne frega niente delle strenue battaglie salutiste contro le multinazionali, né di come trasporto mio figlio in giro: se in una fascia in puro lino tibetano o in un passeggino ultimo modello con incise le iniziali del pupo.
L’accudimento fisico è senz’altro molto importante, ma non può riassumere la parabola della maternità, al punto da eclissare i bisogni profondi e spesso inespressi e inascoltati dell’infanzia, come sembra dalla foga e accanimento di alcune mamme. A me sembra feticismo materno, questo concentrarsi ossessivamente su un singolo punto, tralasciando l’insieme.
Sono consapevole dei miei limiti: non sarò mai una perfetta casalinga e nemmeno una manager rampante. Non aspiro a infilarmi a tutti i costi un’etichetta di “personaggio”, né qui sul web, né in giro in piazzetta mentre i miei figli rincorrono i piccioni.
Se la casa è in disordine mi sento in colpa, è vero, ma penso anche che nella vita ci siano priorità diverse in ogni momento della vita e che se vado in pizzeria con le amiche non muore nessuno. E vi assicuro che con cinque persone in una casa, di cui la maggioranza sotto il metro e mezzo, e senza il filippino nell’armadio, se io carico la lavatrice senza sapone o lascio la moka sul fuoco mi scoppia la terza guerra mondiale.
Non significa che non abbia le mie crisi e i miei scleri, ma ho imparato che fregarsene davvero vuol dire questo: ricentrare tutto e dare la giusta importanza e valore alle cose. Il giudizio degli altri? Conta nella misura in cui queste persone hanno la mia stima e fiducia. Di certo non mi tange minimamente il giudizio di un passante su come e quanto si debba allattare, mi scivola letteralmente addosso. E i gruppi di facinorose li evito come la peste bubbonica. Me ne sto alla larga da chi trova la sua soddisfazione e sfogo nel trovare difetti negli altri o fomentare polemiche. E sapete che c’è? Che se tutte si imparasse a farlo vivremmo in un paradiso terrestre. So bene che non succederà ma io comincio nel mio piccolo e vi auguro di farcela: è un po’ il segreto di pulcinella o l’uovo di colombo. Ma vi assicuro che renderlo reale e non una specie di mito è difficilissimo e richiede un gran lavoro su sé stesse. Magari voi ci riuscite anche senza fare tre figli, chapeau!
4 Comments
Bellissimo post Sabina, complimenti!! E’ proprio vero bisogna farsi “scivolare” addosso i giudizi delle persone e tenere in considerazione solo come ci vedono i nostri figli…non è facile, mi creo spesso dei dubbi lasciandomi influenzare dalle persone, ma bisogna essere forti avere una “corazza”, per così dire…imparerò anch’io perchè in caso contrario ne andrà della mia salute! D’altronde la gente ha sempre da dire, indipendentemente da come agiamo…
Un abbraccio
Patrizia
Hai detto molto bene Patrizia, è qualcosa che richiede il nostro allenamento ma può aiutare molto la tua ultima considerazione: tanto hanno tutti da ridire a prescindere, quindi a cosa serve farsi il fegato amaro? E’ una di quelle costanti della vita. Ti dico: a me avevano da ridire che stavo a casa, ora hanno da ridire che lavoro. Quindi? -.-‘ alla fine meglio concentrarsi sulle nostre priorità. La mia è sempre stata “essere una persona felice e realizzata”, io e ora i miei figli. Il resto conta davvero zero! Un bacio
Ma davvero ti fanno storie perché lavori? Sono senza parole….
Non lo credevo possibile e invece si