Per la prima volta, la mia casa non risuonerà di strepiti-risate-dispetti-versetti fino a sera.
Ammetto che nonostante io faccia sempre “quella forte”, è stata (ed è) dura lasciarli andare, soprattutto il piccolino che nonostante sia il più precoce, vedo sempre il pulcino della famiglia (anche se in quanto a beccate, somiglia più ad un galletto). Mi sono ritrovata sul treno col magone e gli occhi lucidi, giusto pochi istanti dopo i sorrisi e i saluti da inserimento.
Lorenzo inizierà leggermente più tardi, ha però conosciuto già la scuola, la maestra e i compagni: mi ha intenerito tantissimo ascoltarlo dire con una vocina: “mamma, ma se non sono simpatico ai miei nuovi amici?”
A sei anni molti bambini hanno una maturità emotiva che mi lascia sempre di stucco, ma soprattutto sono capaci di esternare i loro sentimenti, le loro paure e preoccupazioni, le loro gioie, con le parole degli adulti.
Forse per questo, e pensando a me stessa bambina, sto attenta ai loro segnali e per rassicurarli, uso proprio lo strumento della parola, che è la “cura” usata da tutta l’umanità per qualsiasi disagio o bisogno inespresso.
Il mio modo di stare con loro e accompagnarli attraverso i cambiamenti, sono le storie.
Il “mio” inserimento lo faccio così.
Mi sono impegnata a rafforzare il nostro rito della sera, in cui io (anche in versione stremata e magari non ho ancora riassettato in giro), mi siedo con loro e leggo (o racconto, se sono in giornata meno tosta) delle storie.
Le scelgo con particolare attenzione all’aspetto narrativo e visivo: perché un libro o un albo illustrato arrivi tra le nostre mani, dev’essere una fiaba semplice, non per forza “rassicurante” nel senso moderno del termine e nemmeno esplicitamente pedagogico (i tutorial onestamente, li lascio per altre sedi). Come diceva Chesterton:
[Tweet “Le favole non servono a spiegare ai bambini che i draghi esistono. Questo i bambini lo sanno benissimo da soli. Le favole servono a spiegare ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”]
Alterno libri “vintage” e nuovi con questo criterio in mente.
Il secondo criterio è la bellezza: le storie devono essere qualcosa che si gusta con piacere, devono avere illustrazioni piacevoli e che di per sé educhino allo stupore, all’ammirazione, che soddisfino la sete di bellezza che si fa sentire in ognuno di noi, ma nei piccoli in modo del tutto speciale.
Insomma, i mostri ci sono e non va nascosto ai bambini, per quanto mi riguarda. Ma utilizzando il linguaggio e le modalità giuste.
Allo stesso modo: le emozioni non sempre sono belle: sono anche loro come i draghi delle fiabe. A volte sono tempestose, ma niente che la voce della mamma non possa placare, cullando verso i sogni.
Lorenzo con un fulmine sulla maglia del completo Brums, direi che lo rappresenta bene!
Ale alla sezione primavera sta imparando l’arte della concentrazione e pare aver trovato un degno sfogo alla sua iperattività. A casa torna con meno voglia di correre e più calmo. Per lui la tuta Brums è volutamente simile a quella del fratellone, per sentirsi una vera combriccola unica.
Per Costanza ho scelto una tuta con sopra oversize, spacchetti e soprattutto con dettagli metallizzati, che adoriamo. Perfetta per abbinarsi alle scarpine da tennis “sbrilluccicose” che adora tanto.
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