Oggi, come dicevo qualche giorno fa in un incoraggiante post sul fare figli, le attività estive (e di svago in generale) non mancano -anzi sovrabbondano- per grandi e piccini: agrinidi, campus, centri estivi che sembrano dei resort cinque stelle. Mi sono ritrovata a pensare alle mie vacanze da bambina: forse ero un po’ sfortunata perché mia madre non ha mai amato troppo viaggiare (ricordo ancora il suo commento tristissimo quando guardava “la ruota della fortuna” dove si vinceva un premio finale e lei: “il viaggio proprio no, che ti rimane?”), ma in generale nessuno faceva queste grandi manovre. Beh il compagnuccio benestante che andava a in Australia c’era eh, ma andava a trovare i nonni. Io se chiudo gli occhi rivedo pomeriggi in penombra leggendo giornaletti, che sono passati da Minnie & co a Top Girl e senza disdegnare persino i libretti adolescenziali di mia mamma a disposizione in giro, ero onnivora sulla carta stampata. Rivedo un tavolino da ping pong improvvisato per giocare in casa con mia sorella, e ci divertivamo un mondo, nonostante ballasse un po’ e ci fosse un punto da evitare accuratamente per non far insaccare la pallina. Rivedo una bambina annoiata, che non vedeva l’ora di tornare a scuola in certi momenti e lo scriveva sul diario segreto. Una risma interminabile di fogli per disegnare, e quanti sfoghi su carta. Poi ogni tanto si scappava per un weekend, di solito Toscana/Umbria, zone vicine, una festa! In alternativa qualche estate siamo andate in Trentino, a Cavalese, essendo forse l’unica zona che attirava mia madre, montanara doc. Un anno ha tentato la formula “all inclusive” in Abruzzo ma a me pure a 11 anni imbarazzava l’animazione serale, figuriamoci. Da brava nerd io puntavo la libreria con settore ragazzi più vicina per ficcare immediatamente la testa dentro un Mondadori Junior, un Club delle Babysitter o un Piccoli Brividi. Amavo le copertine con i titoli tutti colorati e incisi, ah, il gene infantile dell’editoria latente. E poi, un paio di estati al mare a due passi da casa, Anzio. Ho delle immagini vaghissime di casa tutta in ordine, con divani e poltrone coperte da teli bianchi, perché saremmo state via diverse settimane. La piazzetta un po’ fatiscente, le fontanelle e i chioschetti d’angolo. Le bouganville abbacinanti e quattro bimbe-ragazzine che chiacchierano di cartoni animati e stupidate per ridere insieme. Le partite di beach volley, gli amorini. Ecco, io non andavo in posti belli, non facevo attività mirabolanti. Eppure non mi sento “sfigata”. Trovo che a volte anche quei periodi di inattività, dove tutto si fa lento e inutile, siano preziosi. Che, sì, abbiano contribuito alla mia formazione, forse più che andare a qualche Erasmus casinaro anni dopo. I compiti delle vacanze li facevo velocissimamente all’inizio e poi davo una rinfrescata a settembre, per cui nell’inattività non includo questo: una dose ragionevole di compiti ci sta secondo me, basta che non sia disumana (e poi è comunque da diversificare tra un bimbo in seconda elementare e uno in terza superiore!). Non dico, in tutto questo, che dobbiamo sbattere i bambini in casa, io AMO viaggiare. Ma credo che non si debba avere nemmeno l’ossessione. Il viaggio non dev’essere uno status symbol, né sentirsi tipo degli evaporati se per un anno non si va in vacanza, come sembra essere ora. Che se non si fanno mille mila viaggi l’anno privi i tuoi figli di esperienze fondamentali, imprescindibili, che resteranno limitati di vedute, degli ottusi. Beh, trovo ottuso questo, di ragionamento. Si può viaggiare in mezzo globo e restare quelli che mangiano al Mac Donald’s o all’italiano. Magari anche senza farlo davvero eh, ma essendo così di testa. Gente che va in giro solo perché a Londra ci sono Topshop e Primark (motivazione di tutto rispetto, scherzooo!!). La verità è che il viaggio oggi è qualcosa di semplice, forse fin troppo democratico. Basta avere i soldi e puoi essere in un secondo qua e nell’altro al polo opposto. Mentre una volta il viaggio era alla portata di (troppo) pochi, ma forse viaggiava chi era davvero predisposto, lo assaporava e ne restava cambiato nel profondo. Anni fa lessi un libro meraviglioso, di uno dei miei autori del cuore, Andersen. Noto quasi unicamente per le fiabe e a torto considerato uno scrittore solo “per bambini”. Fu un viaggiatore fantastico e racconta le sue memorie in “Bazaar di un Poeta“. Lui era povero in canna: sono tanti gli aneddoti circa le condizioni disgraziate della sua famiglia, che lo mandava in giro, al freddo scandinavo, con vestiti rattoppati o troppo corti che gli procuravano (unitamente al suo aspetto non proprio aitante) il lazzo dei compagni. Ecco: lui, grazie ai suoi meriti eccezionali, fu sovvenzionato dallo Stato per girare il mondo e descrivere minuziosamente le sue avventure in questo diario. Un vero e proprio travel blogger in un blog tour ante litteram. Vi consiglio di leggerlo perché è emozionante e descrive un concetto virtuoso di meritocrazia che noi “moderni” ci sogniamo. Al vedere cosa succede ora, invece, a partire dai fatti di cronaca delle gite scolastiche, viene da rabbrividire. Altro che occasione culturale o nemmeno di sano svago, in molti casi degenera in una perfetta chance di trasgredire le regole, tutte, anche quelle della più elementare civiltà. Forse avremmo davvero tutti da imparare da questi esempi e resettare un po’ le nostre cognizioni sul viaggio inteso come momento di crescita personale, di curiosità e sì, anche di divertimento, ma non sfogo di repressioni o palcoscenico per un selfie diverso.
Elogio dell’inattività estiva

7 Comments
[…] Questo post mi è piaciuto moltissimo: a parte che mi sono innamorata di quello delle mappe vintage *_* ma poi finalmente una prospettiva “diversa”, che accontenta chi vuole viaggiare, sia in senso classico e sia con la fantasia, proprio come dicevo qualche giorno fa! […]
amo viaggiare, conoscere, scoprire, con tanti mezzi dal camper a un qualunque mezzo a due ruote senza disdegnare macchina o aereo…l’importante è scoprire sempre luoghi nuovi…forse nn ho fatto migliaia di km e il mio passaporto è senza timbri…ma ho scoperto tanto in questa Italia,in questa Europa che ha tante cose da raccontare…basta saperle ascoltare….
Ecco, hai colto in pieno quello che intendevo: per viaggiare con frutto non basta macinare Km, ci vuole una mente e una disposizione aperti a recepire quanto di buono ci fa crescere dovunque andiamo. E questo vale per il paesello vicino casa come il posto a mezzo globo di distanza!
Secondo me per andare in vacanza ci vogliono i soldi, per viaggiare ci va invece soprattutto il tempo. Si può fare un viaggio anche a 10 km da casa se si ha lo spirito giusto, mentre se non lo si ha nemmeno il posto più bello del mondo ci potrà lasciare qualcosa
sottoscrivo al 1000% direi che potrebbe essere un vero e proprio manifesto-slogan che condensa il concetto in poche parole 😉 inutile dire che, ok, noi mamme abbiamo voglia delle vacanze perché la fatica dell’anno te la richiede a gran voce, ma viaggiare…beh, è un’altra cosa, ha un fascino e un richiamo diversissimi. Ogni volta che penso “quest’anno basta scarpinate, voglio un all-inclusive dello svacco” mi ritrovo a non farcela proprio…non riesco a rassegnarmi all’idea della vacanza-villaggio turistico 🙁
[…] idea, in perfetta linea con il mio post di qualche tempo fa…adesso però so come si chiama il concetto, secondo gli […]
[…] porto (e ho portato) ad esempio uno dei miei scrittori del cuore: Hans Christian Andersen. Il nostro era un ragazzino […]