Non volevo (e non voglio) scrivere il solito articolo retorico e scontato dell’otto marzo sulle donne, ma poi è uscita fuori questa cosa qua che avete davanti, senza che nemmeno me ne accorgessi, e invece parla della forza delle donne, che si perdono e si ritrovano. Quindi è un articolo “esclusivista”, ve lo dico subito.
Non sono gli auguri buonisti “donne-du-du-du”, con la mimosa pure un po’ puzzolente e snoopy con gli occhi a cuore di fianco. Non sono nemmeno quelli con wonderwoman e slogan anni ’70. Men che meno un invito stile “girls just wanna have fun” in versione zoccoleggiante col patetico uomo oggetto oliato sugli addominali a tartaruga.
Piuttosto, contengono una riflessione spontanea che mi è balenata quest’oggi: si è presentata senza preavviso (e infatti, voglio dire…ha pure due giorni di ritardo rispetto all’8 marzo, rendiamoci conto) ma è stata perentoria: scrivimi o morirai stile catena di Sant’Antonio. Quindi niente, vi tocca, ed è pure un post-fiume.
Quando stamattina ho visto lo status di Nunzia Cillo, sul perdersi e ritrovarsi, lì per lì è stato una piacevole lettura e nient’altro.
Ma poi questo concetto (sì, nonostante avessi Ale in giro che reclamava a gran voce la sua dose arretrata di coccole che ha avuto in abbondanza), ha iniziato a rimbombarmi in testa e mi sono trovata a seguire senza quasi accorgermene, questo pensiero, come si fa con un cane dispettoso che ti strappa il guinzaglio e ti corre avanti, indietro e intorno senza che tu riesca a riacchiapparlo.
Perdersi e ritrovarsi: chi non ha almeno un “buco” nel suo curriculum vitae forse non riesce a cogliere appieno la portata di questo concetto, ma io lo sento mio in modo quasi struggente.
In un mondo che vuole tutti inquadrati e continui, senza esitazioni o incertezze sul proprio percorso, che già alle medie devi avere in mente cosa farai da grande, io trovo che invece quel che dice Nunzia sia rigenerante.
Possibile che non ci sia un “piano c” intelligente tra l’essere degli automi e cazzeggiare a vita (che in dosi sane invece serve eccome, tra l’altro)? Io no, non lo credo e anzi, lo rivendico, quel “buco”, se riempito di tante cose interessanti.
Voglio circondarmi di persone che abbiano buchi quanti ne vogliono, pure quanto un groviera. Basta che non siano buchi nel vuoto ma pieni di sorprese fantastiche.
Un po’ il contrario del vaso di Pandora: vorrei che, dopo un momento di comprensibile smarrimento (quello che non è secondo gli standard fa sempre un po’ paura), aprendolo con circospezione ne salti fuori un’esistenza che ha insegnato più di un master e ha lasciato il suo segno rendendo migliori, più forti.
Perché, come dice una delle donne compagne di avventura in questi tre mesi, Consuelo, le competenze si imparano (e aggiungerei: in fretta, quando si è svegli), ma il talento, la passione, nessun corso le può inculcare: non è una “nozione”.
Il talento è quel frutto che cresce troppo in alto sull’albero e non si sa bene come valutarlo, perché sfugge ai parametri normali. Tantomeno si sa come coglierlo e valorizzarlo, è troppo speciale. E allora si finisce per preferire le mele che sono in basso, a portata di mano, che garantiscono il “qui e ora”, la pancia piena.
E questa scelta di comodo non è mai senza ricadute: può essere un’azienda o una famiglia, tutto va a rotoli quando manca la scintilla.
Quanto è bello invece, trovare un posto o una persona che non ha paura del talento vero, di quel fuoco “sacro” che arde spesso sotto le braci di una normalità quotidiana. Quando trovi chi ha la volontà di arrampicarsi faticosamente per arrivare in cima a quell’albero, assicurarsi la mela più preziosa e piantarne i semi, coltivarli con amore: è lì che nascono le grandi storie e le grandi imprese.
Perciò, donne (ma anche uomini…): [Tweet “non vergogniamoci mai di aver vissuto, di aver avuto e superato difficoltà, di non avere un percorso lineare”]. Il primo passo per attirare le soddisfazioni e i riconoscimenti è questo: tutto il resto costa fatica e lavoro che però non pesano. Ma non si avvia neppure l’intero processo, quando nascondiamo agli altri la nostra tridimensionalità.
Tuck Everlasting
Quando ho saputo di aspettare Alessio, ho subìto fortemente questa tentazione: due figli sono “normali”, sono “giusti” per gli altri. Tre, ravvicinati, no. E il prossimo non si fa scrupoli a rimarcare quello che trova strano, additandolo.
Ecco, io invece sono cresciuta del tutto in questo punto della mia vita. Ho imparato cosa significa essere “fuori” e ne sono riemersa più forte.
E’ nata non solo una mamma “tris”, ma prima ancora una donna sicura dei propri mezzi. Non voglio dire “orgogliosa”: la maternità non è mai stata una bandiera per me, ma un crescendo di valore, per me stessa e la mia famiglia. Il vero orgoglio per me è l’essere madre consapevole della propria fortuna e della ricchezza che può offrire a chi ne sa approfittare.
Diventare mamme non è un bollino chiquita, eh.
Può dare molto, ma anche niente, questa è una verità che non ci ricordiamo abbastanza: molte mamme sono appena lambite da un simile tsunami, altre (forse la maggioranza) si trovano cambiate ma poi pian piano si ritorna faticosamente nei ranghi. Poche ne sono rivoluzionate in maniera permanente e fin nel profondo. Io appartengo a questa categoria: in questo senso mi sento una privilegiata e non ne ho mai fatto mistero. Scherzando con le amiche, ho spesso dichiarato “fai un figlio, vedrai come ti cura X paranoia”.
Ovviamente sono semi-seria perché so bene che per averlo ci vogliono tutta una serie di presupposti spesso anche indipendenti dalla propria volontà. Ma c’è un fondo di verità: niente, nemmeno un viaggio di meditazione in giro per il mondo (che metterei però come valida alternativa 😀 ) riesce a metterti in contatto con la parte più intima di te stessa come quel processo faticoso ma incantato che dura nove mesi (dieci pure, via, vista la percentuale di induzioni, vero Olga?), culmina, tremante nelle doglie e nella nascita di figlio e di una mamma per poi procedere nella nuova vita.
Questo è un video che ci è stato mostrato da Riccarda Zezza a Piano C e che trovo davvero meraviglioso: vale la pena condividerlo con tutte le donne per ricordare quanta forza possediamo in noi e possiamo esprimere, ognuna a suo modo.
A tutte le donne che nel leggere queste parole si riconosceranno, auguro di non sentirsi mai qualcosa di meno. Meno professionali, meno interessanti. Di non sentirsi in colpa per aver “deviato” dalla strada tracciata per loro, se è servito a renderle quello che sono oggi.
10 Comments
Ok, questo video mi ha fatto davvero commuovere…soprattutto oggi in cui mi sento una mamma sbagliata e che non ce la fa…
Io ho quasi 10 anni di buco da quando ho lavorato, so che non troverò facilmente un lavoro, eppure in questi 10 anni ho imparato due lingue, fatto corsi di cucina e pasticceria, messo al mondo e cresciuto tre figli lontana dalla famiglia e con un marito spesso lontano…se io per prima non riesco a dare valore a tutto quello che faccio, non posso certo pretendere che lo faccia qualcun altro.
Grazie…
è davvero incredibile come a volte siamo noi stesse a non vedere il nostro valore! Lo dicevo proprio pochi giorni fa ad una mia compagna di avventura: una persona straordinaria ma che non crede in se stessa. Direi che i tuoi 10 anni di “buco” sono semplicemente straordinari, vai a testa alta!!
continuare a studiare. Per non smettere di credere nel proprio “ritorno” dopo il buco, è studiare ancora, e ancora.
Poi, se ti va di leggere un post in cui l’8 marzo è trattato dal “day after”, leggi il mio (quello del 9/3 su Imagestudioblog
molto volentieri monica! studiare è importantissimo è vero. E avere quella “fame” di crescere sempre. Non intendo come riconoscimenti esterni ma come voglia di superarsi!
Bello questo post da degli spunti su cui riflettere. mi piace molto lo stile del tuo blog elegante e delicato.
Grazie valentina, sono contenta di averti dato degli spunti di riflessione, credo sia molto importante andare sempre alla radice delle cose!
dare il giusto valore a noi stesse!!!!!!! non sempre però è facile….
io di annidi buco ne ho 10 anzi 9…(anche solo un anno è fondamentale)….ma in questo buco professionale il mio crescere è stato come hai dettto tu .ilcrescer come donna …affrontando le difficoltà ebellezza di unafamiglia numerosa..perchè al terzo figlio ti guardano come aliena…figurati al 5…….
però avrò buchi …..mali ho riempitie oggiringrazio quei buchi perchè mihannoeprmesso di diventare quella che sono
veronica
dobbiamo convincercene e soprattutto far passare questo messaggio positivo agli altri, il primo passo perché le cose cambino davvero! Grazie veronica!!
Molto bello questo punto di vista!
Io ho colto l’occasione del congedo maternità per trasferirmi all’estero seguendo la trasferta di mio marito, approfitterò di questo buco per migliorare La lingua e prendermi una pausa dalla routine, anche perché temo che il ritorno al lavoro sarà in salita… Gli altri hanno portato avanti i tuoi progetti e tu vieni considerata come una che si è presa una lunga vacanza… Almeno questa è la sensazione.
Esatto Annalisa: una vacanza in cui evidentemente hai perso tutte le tue competenze e professionalità….