Quando parlo di acquisti sostenibili e brand indipendenti, generalmente oltre all’apprezzamento sullo stile unico, mi viene mossa una “critica”: eh, tutto molto bello ma costano troppo.
Come sapete io ho tre figli (peraltro ravvicinati come età): questo implica una gestione per niente semplice di tutto l’ambaradan. Non ho certo soldi da sperperare e ci sono stati anni in cui abbiamo fatto crescere tre figli con un solo stipendio. Questo semplicemente per dire che ho ben presente quanto il concetto di risparmio faccia gola e presa su noi mamme.
Se è innegabile che fare acquisti sostenibili sia in senso stretto più costoso, c’è da dire che questa obiezione perde di valore se guardiamo al complesso del nostro modo di comprare.
Se siamo abituati (e io per prima lo sono, sto tentando di “disintossicarmi” a fatica) a comprare sul momento, in modo impulsivo oppure all’ultimo minuto, è logico rivolgersi o al negozio sotto casa o al sito online dove basta un click.
Comprare “facile” e immediato
L’offerta delle catene internazionali come H&M, Zara, Kiabi, Mango ecc. è così sterminata che è quasi impossibile non trovare quello che ci serve o interessa.
Per comprare, ad esempio, il corredino per il back to school bastano pochi secondi, non ci serve fare chissà quale ricerca sui materiali e il loro rapporto qualità qualità/prezzo, tantomeno sul come si ottiene un capo (sia sul lato ambientale che su quello del lavoro equo), dato peraltro di difficile reperibilità (chissà perché).
Peccato che comprare d’impulso ci impedisca di ragionare su come integrare i nuovi acquisti col resto del nostro guardaroba. Ci impedisce di riflettere, “o ora o mai più”: pensateci, se capitate in una grande catena un giorno e adocchiate un golfino ma decidete di ripassare la settimana dopo, non lo troverete più. Come minimo avrà cambiato disposizione, mentre sui siti, ogni settimana viene sfornata una serie di novità. E’ l’essenza della Fast Fashion, appunto.
Ma questo senso di urgenza è tutto a vantaggio di chi vende, mentre aumenta esponenzialmente il rischio di pentimenti nell’acquirente.
C’è più scelta (pure troppa)
Sui grandi portali come Zalando o Yoox poi, troviamo una sorta di supermarket multibrand con davvero di tutto e di più, le proposte moda, accessori, decor e quant’altro sono infinite e con la navigazione a filtri è un attimo selezionare in questo oceano, la nostra pesca. Per fortuna, ora anche loro iniziano a dare spazio ad una selezione più sostenibile. Siamo noi consumatori che abbiamo nelle mani la pressione su chi fa marketing, affinché un modello più responsabile sia sempre più diffuso.
Personalmente però voglio riportarvi la mia esperienza: mi sono accorta di come, laddove avevo troppa scelta, mi era sì, più facile comprare, ma molto più difficile comprare bene. E’ più facile sbagliare taglia su un brand che non conosciamo (e non so voi, io detesto dover poi fare il reso, anche nel caso migliore in cui vengano a casa mia a prendere il pacco), comprare troppo e quindi riempirsi di cose che non ci servono davvero e prendono solo spazio negli armadi, e soprattutto è più difficile mantenere una certa coerenza stilistica nel guardaroba. Si finisce a fare le api che passano di fiore in fiore (in questo caso, di foto in foto) e acchiappare quello che cattura la nostra attenzione. Un’attitudine pessima. Al contrario, molti brand etici non hanno la vasta gamma di prodotti (e a volte sono meno “sfiziosi”).
Di una cosa, però, mi sono accorta fin da ragazzina mentre ero una settimana a Parigi per la prima volta: avendo a disposizione pochi capi da portare con me, mi ero vestita molto meglio del solito. Sarà stata l’aria della Ville Lumiere, dal fascino modaiolo ormai celeberrimo, ma lì per la prima volta ho realizzato consapevolmente come avere meno, “rendesse” di più nel momento di comporre e abbinare i capi tra di loro. Nel mio caso, avere dei limiti mi trasmette più serenità nelle scelte, più cura e attenzione a tutto quello che faccio. Secondo me tutti noi siamo abituati alla cultura dell’usa e getta, per cui paradossalmente possediamo tanto ma amiamo e sfruttiamo molto poco i nostri averi.
Costa meno (sul momento!)
Arriviamo all’obiezione più veritiera, che però va ricollocata. E’ vero: i singoli capi costano di più. Ma non facciamoci illusioni, il valore si paga. Per quanto ci siano eccezioni e ogni cosa vada valutata nello specifico del proprio rapporto qualità/prezzo, quello che costa due euro non può avere la stessa qualità di quello che ne costa venti.
In qualche punto della filiera si è dovuto tagliare i costi per poter proporre quel prezzo di cartellino al cliente finale: alcuni tagliano sul design (e quindi avremo capi di buon materiale ma poco sfiziosi, noiosi o sgraziati), altri sui materiali (quindi stampe trendy, colori sgargianti, personaggi dei cartoni del momento ma che cadono a pezzi dopo un lavaggio), infine costi dei salari di chi li produce (e quindi avremo un prodotto finale tutto sommato equilibrato, ma alle spalle ci sono storie di sfruttamento indecorose come denunciato a più riprese nel caso di colossi della fast fashion).
In ognuno di questi casi, ci sono problemi: che siano pratici, stilistici o etici, da qualche parte c’è una falla. Qui sta a noi considerare la nostra scala di valore personale: su cosa siamo disposti a passare sopra?
Richiede meno manutenzione
Questo assunto è vero e falso allo stesso tempo. Trovo che alcune composizioni bio o organiche siano effettivamente più delicate, alcune vanno lavate a secco e questo è innegabilmente scomodo per noi mamme sempre di corsa, super trafelate. Qui secondo me entra in campo la ricerca personale: è importante conoscere i materiali e informarsi accuratamente su cosa comportano in termini di sforzo. Vi consiglio di seguire due bellissimi canali Youtube di due ragazze che sanno il fatto loro: Justine Leconte e Daria Andronescu.
Qui trovate un esempio di video con consigli per la manutenzione di diversi capi
Qui la serie di video sui materiali (divisi in sintetici e organici)
Io in diversi casi ho comprato capi così buoni nella composizione, che praticamente non necessitano di essere stirati (e questo vale ampiamente pagare qualcosa in più, per quanto mi riguarda!).
Ci fa sentire “in trend”
La verità è che spesso, anche inconsapevolmente, carichiamo lo shopping di significati e sensazioni che esulano dalla necessità: lo facciamo per piacere personale che però, nello stile di consumo attuale, si traduce in “gratificazione istantanea”, che dura pochissimo. Per questo senso di euforia del momento, tanti capi finiscono a giacere, col cartellino, a fare la polvere in un remoto angolino del guardaroba, soppiantati in men che non si dica.
A tutti noi piace sentirci “alla moda”, mentre l’ultima cosa che vogliamo è sentirci “sfigati”, come si viene sottilmente indotti a credere se accettiamo quello scatolone di vestiti dei cuginetti. Questo secondo me spiega l’estrema reticenza -particolarmente “italiana”- verso il vintage (altrimenti – e impropriamente- detto anche “usato”, che nel caso dell’abbigliamento per bambini ha poco senso).
Personalmente però, mentre io amo la moda e lo stile, mi sta stretto il concetto di trend applicato agli adulti, e ancora meno lo sopporto sui bambini. Non mi piacciono i vestiti da mini adolescenti che vengono proposti in molte catene low cost, non mi piace che le bambine siano concepite solo con leggings o jeans attillatissimi o shorts inguinali a 5 anni. Quello che mi piace ancora meno è che non ci siano praticamente alternative, se non i brand “di nicchia”. Per fortuna ormai ho i miei “indirizzi” online: marchi che ho testato e approvato e a cui ormai mi rivolgo in prima istanza. Compro spesso durante i saldi: odio il caos nei negozi, mentre quelli online su siti meno battuti riservano grandi soddisfazioni e ho sviluppato tutta una serie di piccoli trucchi che mi aiutano a risparmiare e fare acquisti al meglio.
Sto lavorando su me stessa perché mi rendo conto che, con alle spalle una storia di fashion victim coi fiocchi, non è facile il cambio di mentalità. Ora sto costruendo pian piano un concetto di guardaroba vicino a quello di “capsule collection”. Non credo ne avrò mai uno super minimal o tutto sui toni neutri (io amo il colore!), ma trovo che sia più importante applicarne i principi e aiutarsi a ridurre al minimo la “fuffa” e creare una struttura solida di guardaroba coerente e duraturo (soprattutto nel caso di noi adulti), che poi va solo “rinfrescato” ogni tot, ma senza più stress.
E, alla faccia di chi dice che avere figli sia anti ecologico: questa maggior attenzione, l’ho sviluppata proprio grazie al mio ruolo di madre, che mi ha sicuramente iniettato una buona dose di senso di responsabilità e di riposizionamento nei miei valori.
Insomma, dopo aver considerato questi 5 punti sulle nostre modalità di acquisti, io non sono per niente sicura che si risparmi poi così tanto in termini di budget generale e soprattutto, penso che avere uno stile di acquisto responsabile faccia bene in primis a noi e alla gestione generale della nostra vita.
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