E no, non è “il gioco della felicità” di Pollyanna, anche se adoro i filmoni Disney e la scena del predicatore folle che scuote i lampadari la trovo una vetta cinematografica ineguagliata.
Non so come sarà il futuro, i giorni dei miei figli.
Sento che tutto, intorno a me, ruota vorticosamente: quello che valeva fino all’altro ieri è obsoleto l’indomani.
Ma io sono “vintage” inside, nonostante l’amore per la conoscenza mi porti a curiosare e scandagliare tutto ciò che mi si presenta a tiro.
Quando sono diventata mamma, sono stata easy (quando non superficiale) in tante cose, io sono una “spericolata” sotto l’aspetto pacato. Su una cosa però, mi sono sentita improvvisamente come un soldato in trincea: la responsabilità profonda di crescere dei figli felici.
Per questo non dirò ai miei figli “fai il liceo classico” (anche se lo trovo di grande valore formativo, come si diceva pochi giorni fa sulla bacheca facebook di amici commentando questo articolo sul Sole 24 Ore ), non gli consiglierò una strada particolare, quella se la disegneranno su misura, anche se com’è normale esprimerò le mie personali considerazioni.
Non è mai stato un buon metodo imporre ai figli un “mestiere”, come volerli forzare in un vestito di taglia troppo grande. Forse riusciranno ad infilarcisi, ma si sentiranno a disagio e tutti avvertiranno che qualcosa non calza a pennello, per quanto la mascherata possa essere stata minuziosa.
Figuriamoci poi se il vestito è pure brutto….
Oggi più che mai, sarebbe improponibile: in un mondo refrattario alle imposizioni, persino le più elementari e sensate, significherebbe ricevere una ribellione assicurata
Una cosa però, voglio trasmetterla profondamente a loro. In primis, vivendola sulla mia pelle e, se me lo chiederanno, anche a “discorsetto”. Per questo sto scrivendo oggi: per tenere queste parole bene impresse perché tutto mi sfugge tra le mani e dalla mente.
La felicità vera, che vedo così raramente brillare nello sguardo di chi ho intorno è la soddisfazione di far bene, senza chiedere nulla in cambio, come premio a sé stessa.
Tutti inseguono il successo, e anche io.
Ma tutto sta nel significato e nei mezzi che diamo a questo concetto. Se lo facciamo dipendere da qualcosa di esterno e indipendente da noi, al 99% saremo infelici e insoddisfatti, in balia del giudizio altrui o delle oscillazioni finanziarie. E lo stesso è per le relazioni umane, non credete. Fintanto che tutto dipende da qualcun altro, saremo irrequieti.
Il vero segreto della felicità, l’ho scoperto faticosamente negli anni ed è tutto lì: amare lo sforzo quotidiano per crescere, per migliorarsi.
Semplice quanto nascosto e disconosciuto. E’ beffardo che tutti si profondano in tentativi più o meno riusciti per liberarsi dalla fatica, dal “travaglio”. Pur essendo un tipo pigro, quasi un bradipo di natura, non ho mai avvertito questa impellenza: anche in gravidanza non temevo il travaglio. Non è che ne fossi invasata, all’idea, ma lo sentivo come indispensabile passaggio per conoscere la felicità di essere mamma. Ed è allora che ho iniziato a capire.
E’ questa ricerca costante della scorciatoia, il vero nemico della felicità della nostra gioventù. E’ spianargli la strada, che li rende così GIUSTAMENTE annoiati, disperati, senza scopo. E far trionfare modelli di successo piovuto dal cielo, senza merito o motivazione è un attentato a questa felicità, è sbattergli in faccia l’esatto contrario di quello che davvero rende realizzati. Dobbiamo denunciarlo con forza, perché ormai ne siamo assuefatti tutti.
Ovviamente non sto dicendo di essere masochisti, prenderli a scudisciate o insegnargli a “spaccarsi la schiena tanto per”. E non credete: dir loro che “è giusto così” non basta, anzi forse li allontana. E’ in questo che hanno sbagliato anche le generazioni passate: fare leva sul “si fa così perché è giusto” è estremamente debole. Dobbiamo dire loro la verità tutta intera, la sola che possa muovere davvero: “si fa così perché è BELLO”. Non perchè “è così e basta” o perché “te lo dico io”.
E’ veramente bello fare le notti in bianco per fare un lavoro importante: che sia allattare un cucciolo di uomo o consegnare una presentazione in ufficio.
Se poi lo viviamo per primi, questo spirito, loro lo avvertiranno. Non sono stupidi i bambini, non hanno bisogno di tante spiegazioni e di un post fiume come questo. Loro hanno un istinto animalesco per cogliere se dici balle o se ne sei convinto, di quello che professi.
Noi genitori abbiamo questa missione cruciale per la loro felicità: incarnare un modello a cui possano ispirarsi. Fargli vedere chiaramente com’è bello, prima ancora che giusto, fare fatica per costruirsi come persone e come professionisti.
Una banalità questa, ma che abbiamo perso e tocca ricordarci: il sabato del villaggio, amici.
La domenica mi piace: ci sono le coccole e la lentezza, le colazioni senza fretta e i pranzi speciali. Ma preferisco il sabato. Un giorno mi riposerò, amerò di colpo la domenica, sentirò che è ora di deporre tutto e tutto lasciar andare. Ma sarà il mio ultimo giorno, quello. Nel frattempo preferisco vivere tutto il mio sabato e fare del mio meglio per trasmettere questa felicità a chi mi è vicino, perché la felicità funziona solo a catena e si affievolisce se ci accontentiamo di tenerla per noi.
Se poi arrivano i riconoscimenti (e vi assicuro: arrivano), tanto meglio. Quello che è sbagliato è basare su quello la propria felicità. Appesantirsi di aspettative significa caricarsi di zavorre morali e mentali che ostacolano la felicità. La sola aspettativa che ci fa davvero liberi è appassionarci di quello che facciamo, che sia la cassiera o il ricercatore non fa la minima differenza: la vera differenza è l’amore che ci mettiamo nel farlo al meglio.
Per questo, come ho scritto più volte, ritengo di una miopia estrema i giudizi su mamme casalinghe o lavoratrici: si può stare a casa frustrate e fischiettare alla scrivania. La prima sarà un pessimo esempio e la seconda uno buono. Ma lo stesso vale al contrario: si può andare a lavoro imprecando e con la morte nel cuore, e stare a casa con loro e avere gli occhi che brillano mentre giochiamo alle ombre cinesi.
Non c’è una strada uguale per tutti, e c’è un tempo per ogni cosa, ma un’attitudine costante valida per tutti, sì: questa voglio che sia il testamento che consegnerò ai miei figli. E se dovessi scegliere e dar loro una cosa sola di me, gli darei questa attitudine.
Per arrivare a questa consapevolezza dobbiamo superare la paura del giudizio altrui (vi assicuro che non è facile: io ho avuto un carattere molto insicuro e debole da ragazzina, quando ero a casa coi bambini dovevo convivere con il generale “poveretta è una che vale poco, non è nemmeno in grado di guadagnare due lire”, e ora che lavoro “le mamme dovrebbero starsene a casa, non andare in giro abbandonando le povere creature”).
La verità è che per molti non va bene niente di quello che facciamo: quindi tanto vale fare spallucce e andare per la propria strada.
Ma queste sono bazzecole: il giudice più implacabile è il nostro io.
Quello profondo, che forse nemmeno conosciamo troppo bene perché emerge solo nelle situazioni esistenziali (e per fortuna, tranquille che non vi tocca sorbirvi le mie disquisizioni, se non una volta l’anno).
Bene: questo tipetto qui sì che è difficile da convincere. Perché, anche se ve ne andate a testa alta, quando arriverà una giornata no, lui scapperà fuori coi sensi di colpa, con i dubbi amletici. “starò facendo la cosa giusta?” “non è che voglio solo soddisfare il mio ego e i bambini subiscono i miei colpi di testa?”
E lì partono i viaggi mentali più assurdi in cui vi vedete decrepite con figli adolescenti che vi prendono a parolacce e magari pure la suocera sogghignante che sibila “te l’avevo detto”.
E niente, a me è successo tutto questo.
Proprio per questo vi prego, vi scongiuro, non rassegniamoci a vivere la vita, se non siamo felici di noi stessi abbiamo un dovere, che dobbiamo anche ai nostri figli: un bel vaffa a quel rompiscatole dell’io interiore diciamoglielo ogni tanto. Ne diciamo tanti che potremmo trattenere e non lo diciamo quando serve sul serio. Mordetevi la lingua con la suocera, ma con lui no.
Se avete trovato quell’equilibrio che vi fa sentire bene, che vi dà quel senso di appagamento solo perché lo state facendo, tutto il mondo può andarsene al diavolo, non ve lo fate sfuggire. State facendo un piccolo miracolo: mostrate ai vostri figli che la sola cosa importante e che tutti gli esseri umani, dal primo all’ultimo, dall’età della pietra fino alla fine dei tempi cercano e desiderano: la felicità.
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