Stamattina sono incappata nell’ennesima diatriba online tra donne e mamme casalinghe VS lavoratrici e, lo ammetto, m’è preso un attimo di sconforto.
In questi tre mesi in cui, a Piano C, il fattore donna è stato il mio pane quotidiano e tematiche come l’empowerment femminile o il gender balance, le ho seguite in prima linea.
Beh, a leggere articoli e commenti di questo tipo mi sono cadute le braccia. Possibile che le donne non riescano ancora ad uscire dalla logica delle guerre tra poveri, delle barricate e delle fazioncelle stile “sono meglio le bionde o le more” come a scuola?
E che questo valga per delle madri, che hanno dei bambini (magari bambine) da crescere, a cui trasmettere non solo valori ma anche attitudini, mi lascia doppiamente basita.
Credo che uno dei grandi, grandissimi problemi che abbiamo noi donne (e le madri non fanno eccezione, anzi a volte sembra che valga a maggior ragione), sia il rapporto che abbiamo con noi stesse. Altro che “nemici” esterni, quote rosa, società malata. Ragazze, mi spiace ma se non siamo noi le prime a smetterla con questi teatrini francamente imbarazzanti, la situazione non cambierà mai.
Le donne hanno un grande problema di fondo, oggi (e forse in fondo, da sempre): non trovano un equilibrio tra lo svendersi, sotto stimarsi a volte in maniere inquietante, e il sentirsi, e voler agire come fossero delle wonder woman.
La maternità poi, come dice il progetto maam (potete votarlo qui tra i vari di startup innovative in Edison Pulse), è sì un master che ci rende più forti e dona nuove competenze. Ma poi, una volta acquisite, spetta a noi impiegarle dignitosamente. Che sia in una multinazionale, a casa come mamma o magari pure un ibrido (ormai le mamme anche freelance sono sempre di più e sono le meno tutelate, ma a loro chi pensa?!). Non è il ruolo, la posizione che ci rende degne di rispetto. E non dico che dobbiamo tornare all’idea dei figli per la Divina Patria, ma sì, fare figli è un bene per tutti. L’indice di natalità la dice molto ma molto lunga sulle condizioni di un Paese.
Conosco donne incredibilmente in gamba che si sentono delle nullità, mentre altre sembrano convinte di essere il centro dell’universo e tutti siano spazzatura al loro augusto confronto.
In quest’ottica, è chiaro che non si arriverà mai a nessun miglioramento: né per le casalinghe trattate come parìa, né per le madri lavoratrici, sempre più schiavizzate. Forse è vero che il worklife balance è un’utopia irraggiungibile: in certi momenti prevale un aspetto della vita, in altri l’opposto. Pretendere un’andatura costante e lineare mentre sotto, il mare ribolle in tempesta è un po’ troppo. Ma non è giusto neppure accontentarsi o tantomeno affossare quei timidi segnali che spingono ad un cambiamento o ad una prospettiva diversa.
Ho letto tante mamme lavoratrici accanirsi contro le casalinghe, affermando che vogliono “rubargli lo stipendio” oppure che loro, una volta tornate a casa fanno pure il doppio lavoro.
Sicuramente è vero che si fa molto, ma è anche vero che non si fa tutto nello stesso modo. Io qui lo dico e qui lo nego a gran voce: quando sono impegnata fuori casa tutto il giorno, non riesco a tenere la casa e i bambini nello stesso modo in cui l’ho fatto quando ero a casa “full time”. E mi spiace, ma trovo irrealistico (o folle) mettersi a fare le pulizie alle 3 di notte, per ottenere gli stessi risultati. Mi è capitato di dimenticare di mettere le antiscivolo nello zaino per la ginnastica (pardon, attività motoria) del martedì o che nella retta di marzo ci fosse da aggiungere una quota per l’inglese. O di trascurare il blog e le mie attività varie se c’era una settimana di fuoco al lavoro. Di arrivare così stanca che ho addirittura svicolato la nostra lettura serale coi bambini, sentendomi uno schifo perché stavo svenendo e non riuscivo a dedicargli quella coccola.
Lo “stipendio” ventilato per le casalinghe, poi, a ben guardare, non è minimamente paragonabile a quello di una mamma lavoratrice “media”. E considerando tutti i soldi che francamente lo Stato butta in questioni ben meno serie, per me ben venga darli alle donne. Non tutte sono a casa per scelta, non tutte riescono a trovare spazio e non tutte hanno la possibilità di scegliere. E anche fosse, è una scelta, quella della casalinga, che va rispettata, non demonizzata e umiliata. Molte hanno ancora questa visione della mamma a casa come un relitto dell’anteguerra, nullafacente e dedito alle soap opera e al pettegolezzo sul pianerottolo: questa cosa deve finire, perché è oltraggiosa.
Ovviamente io sono favorevolissima anche agli incentivi per i padri (ad esempio trovo certi congedi parentali quasi tragicomici, mio marito ha avuto UN giorno quando sono nati i nostri figli), all’interscambio anche domestico. Ma questo attaccarsi a vicenda per una misera fetta di torta, beh, a me fa rivoltare le budella.
No, non possiamo e non dobbiamo per forza fare tutto.
Nessuno ci darà una medaglia, né stando a casa né lavorando. Anzi, io mi becco critiche in entrambi i ruoli, e spesso non dagli uomini. E dobbiamo ammetterlo anche noi mamme blogger che, a volte senza volerlo, contribuiamo ad alimentare il mito delle donne che fanno tutto a perfezione: hanno 3 figli, la casa perennemente linda e instagrammabile, il marito figo che porta la colazione a letto e un lavoro da sogno nella redazione di Vogue. E noi per prime, che le leggiamo, ste favolette, non lasciamoci intortare e influenzare. Io ammetto candidamente che faccio le foto solo quando la situazione è presentabile e non ne faccio proprio nessun mistero. Non credo vedrete prossimamente il mio hometour, a meno che non arrivi un lascito dello zio Fernando che, dal Guatemala, aveva messo da parte quel milioncino di euro per la sua nipote segreta.
Credo sia il caso di riflettere seriamente e prendere coscienza che il mondo, negli ultimi anni è profondamente cambiato e noi pretendiamo di usare categorie e ragionamenti che non hanno più senso di esistere.
Io non lotto per uguaglianza o libertà, io lotto per essere felice.
Per esprimere me stessa al di fuori di qualsiasi etichetta. Finché non lo faremo, saremo dei poveri ostaggi, di noi stesse e dei nostri limiti mentali.
Io ci credo ancora, di trovare il mio posticino. Non voglio scegliere tra il piano A e il piano B.
Magari sarà più lunga e tortuosa, ma ci arriverò, perché, questa sì, è una “guerra giusta”: io vado dritta per la mia strada, verso il piano C.
2 Comments
Una riflessione matura e consapevole. In effetti, è vero, molte donne in pratica svolgono due lavori. Con maggiori disagi sicuramente.
Ma dovremmo tendere tutte insieme proprio a questo riconoscimento sociale: far capire quanto lavoro e quanto impegno siano necessari, per gestire una famiglia, indipendentemente dal fatto che sia l unico impegno della persona o che affianchi altre sue attività.
Esatto…fare fronte comune, non sminuirci le une le altre 🙁