Vexata quaestio, quella dei cattivi genitori, che purtroppo fa capolino sempre più spesso, complici i fatti di cronaca ormai sempre più frequenti. Spero stavolta di non dovermi anche mettere a discutere a monte sul discorso adulti-bambini. No, perché a leggere certe considerazioni recenti sui locali kids-free mi viene da dire che una tendenza al “sti marmocchi sono già teppisti a 3 anni, guarda che genitori maleducati” purtroppo serpeggia mica solo nelle menti malate di certe matte adulte preposte ad “educarli”.
I genitori. Già perché il problema è che qualunque cosa faccia un bambino, i grandi inquisiti sono sempre ed esclusivamente loro. E sicuramente in parte è giusto, specie nei primi anni dei figli. Sono gli stessi genitori che vedono quegli asili dell’orrore come parcheggi, che capita facciano persino finta di niente e riconfermino i propri figli laddove si scoprono situazioni magari “limite”, meno eclatanti e che non finiscono sul giornale o in televisione, ma non meno gravi.
Ma poi penso anche a quei genitori che hanno invece dato fiducia alla scuola: a quei luoghi considerati un tempo “porti sicuri”. Lasciavi tuo figlio coi vicini o all’oratorio senza essere minimamente sfiorato dal tarlo del “e se succede qualcosa??”. Se la bidella cambiava tuo figlio, al massimo pensavi “olè, una cacca in meno per me”, non certo a film mentali su possibili occasioni di molestie. Quei genitori che per campare devono fare orari e gimcane spaventosi, che non hanno fior di tate a disposizione e che quindi hanno poco da scegliere. Che tornano a casa coi brividi dalla stanchezza e sì, devono pure preoccuparsi di avere la freschezza mentale e fisica per ascoltare le emozioni dei loro bambini, per captare qualsiasi impercettibile segnale di disagio. Penso alle loro aspettative tradite, alla sensazione che tutti noi padri e madri abbiamo sentito dolorosamente prima o poi: di vivere in una società che, sempre più ti tollera, quando va bene. Che ti considera meno produttivo sul lavoro se procrei, che ti bolla come “anti-ecologico” perché hai messo al mondo altri esseri umani-che-siamo-già-troppi. Che quando ti rappresenta, nelle fiction e nelle pubblicità (ahimè, triste misura narrativa del nostro tempo), esce fuori un essere ridicolo, che usa un tono di voce mellifluo da speaker di Radio Maria, che si sdilinquisce davanti alla pupù del “nano” e ride manco avesse un mono-neurone nella scatola cranica.
Altro che, non mi ci metto certo io, ma tanti genitori sono eroi a tirare avanti nel deserto di terra bruciata che gli si è formato intorno.
E beh, sapete che c’è? Che queste critiche vengono (oltre vabbè, dalle faide interne che “gli altri” genitori non risparmiano mai), da chi si sente troppo figo per sporcarsi le mani. Quelli che pensano (seriamente) che avere un cane -anzi scusate, un “figlio peloso”, magari portato anche a spasso in carrozzina- sia lo stesso identico “impegno” di avere figli. Sempre più spesso lo sento: noto l’imbarazzo di chi, venuto a sapere dei miei tre bambini, si schermisce ridacchiando “eh-eh-io ho due gatti e una tartaruga, non sai come ti capisco“.
A chi è già pronto con la sassaiola dico: amo gli animali, non vado in giro ad ammazzare i pulcini come i teen ager incriminati, ma la trovo francamente una battuta mal riuscita e due realtà paragonabili giusto su una vignetta demenziale. A volte è innocente, intendiamoci, ma purtroppo non sempre. E in ogni caso, poi mettersi a pontificare su quanto sei fradicio a uno che annaspa in un fiume in piena, mentre te ne stai col sedere asciutto a prendere il sole sulla riva senza muovere un dito, è un atteggiamento insopportabile. Anziché rimboccarsi le maniche e lavorare per migliorare le cose insieme, è più facile dire all’amico esaurito “mica te l’ha prescritto il dottore, di figliare”.
Il problema dei genitori è reale: ci sono delle situazioni di emergenze educative molto gravi e non mi sogno nemmeno di giustificarle o difenderle. Chi sbaglia, è giusto che paghi e si becchi anche il pubblico ludibrio. Però io guardo anche l’altro lato della medaglia, troppo spesso dimenticato.
Siamo genitori in una condizione estremamente difficile: è vero che abbiamo scelto consapevoli di questo, ma ciò non toglie che sia inaccettabile il tiro al bersaglio di cui si è oggetto. Anche perché non si parla solo di bambini piccoli (che effettivamente risentono in misura quasi esclusiva dell’ambiente familiare) ma anche quando un quarantenne fa qualcosa di male, i primi commenti sono tutti di psicologi fai da te: “chissà cos’ha visto in casa” o “senz’altro lo avrà imparato in famiglia”.
Tanto è vero, che se andassimo a fare una ricerchina sulle dichiarazioni a caldo dei familiari di criminali, ho la certezza matematica che una larga fetta sarebbe su una falsariga tipo “non so come sia potuto succedere”, “in casa è sempre stato un bravo ragazzo” e via dicendo.
Un po’ è senz’altro una reazione istintiva, il cercare a tutti i costi una motivazione razionale e un colpevole. Un po’ ci sentiamo troppo spesso tuttologi pronti a diagnosticare.
Io credo che i genitori, in un momento di crisi dei punti di riferimento tradizionali, andrebbero invece che stigmatizzati di continuo, accompagnati di più. Parlo sia a livello di iniziative dedicate alla famiglia, all’educazione, sia soprattutto di un cambiamento culturale. Ma la strada è lunga e troppo spesso risente dell’incomunicabilità di fondo tra chi ha figli e chi non ne ha, in un’eterno e già visto copione di “maschi contro femmine” “roma contro lazio” e via fazionando.
Per il momento mi accontenterei di ricevere un’amichevole pacca, anziché un “oohh mio Dio sei un’eroina, ma come faiii?!” (sottinteso, sei matta da legare, io mi sparerei piuttosto). Anche virtuale va bene, se avete paura di attaccarvi la mammitudine. Sarebbe un bel segnale, piccolo, ma confortante, che si sta andando nella giusta direzione da entrambe le parti.
Infine: un appello a “noi”: è vero che somigliamo sempre più a bestie strane in via di estinzione (nonostante la prole), ma non dobbiamo rassegnarci, adagiarci, spegnerci. Lo so bene che a volte la stanchezza prende il sopravvento, ma dobbiamo farci forza ed essere noi stessi il motore del cambio di passo, senza aspettarci che la pappa pronta arrivi dall’alto, che facciamo in tempo a costruire il mausoleo di famiglia.
2 Comments
Sai la cosa bella di vivere in Francia? Quando mi vedono con i miei tre bimbi la domanda che più mi si rivolge è: “pensate di farne ancora?” come se fosse una cosa piuttosto naturale anche solo pensare di farne un altro quando l’ulitimo ha appena tre mesi!
In Italia sono stata solo due settimane a dicembre e tra i “cavoli che bravi” e i “ma sono tutti tuoi?”, la migliore è stata la mia nonna novantenne che molto seriamente ha chiesto: “ma adesso basta, no? Ti fai legare le tube??”
Che ci vuoi fare? L’Italia, che tanto è conosciuta all’estero come la patria delle grandi e numerose famiglie, sta diventando sempre di più un paese di vecchi e quindi tutte le politiche sono rivolte a loro, ai vecchi. Chi a figli si arrangi, se l’è cercata e comunque ci sono sempre i nonni no? No, perchè lavorano, ma questo è un altro discorso…
Uuuuh, sono un fiume in piena, meglio che la smetto!
Mamma mia, quante verità!! Io sono stata in Francia tante volte (la adoro!) ed esattamente come te ho avuto solo sorrisi e premure e non mi sono mai sentita una mosca bianca. Qui, come dici tu, siamo in un Paese che se fai figli ti guardano come minimo storto. Adesso non chiedo mica che mi diano la medaglia, ci mancherebbe, ma almeno di non essere trattata come fossi una pazza kamikaze. Quando aspettavo Ale ancora ci rimanevo male, adesso no, ci ho fatto la pelle dura e rispondo a tono. Mi è capitato proprio pochi giorni fa che mi apostrofassero con l’aria sconvolta “treeee, ommiodio ma come fai?!” e ho replicato appunto: “eh, guarda, è l’Italia che ha questo problema con il numero di figli, nel resto d’Europa, specie a nord, è del tutto normale”. Ci credi che si è zittita immediatamente? 😀