Così mi sono sentita la settimana scorsa, alla Social Media Week.
Un po’ perché è stato un mordi e fuggi causa malanni-vaccini-allattamento e quindi sono scappata sempre via troppo presto per i miei gusti, un po’ perché questo blog è nato da poco e quindi sono ancora in fase rodaggio e gli aspetti tecnici sono sempre da curare molto per le mie abilità limitate. Soprattutto la sensazione di essere la “Cenerentola” mi è rimasta viva dopo gli interventi di martedì sul Personal Branding. Ecco, io sono l’anti personal branding fatta persona. Tipo che i primi tempi mi vergognavo a far sapere di scrivere qui anche ai parenti (credo che tutt’ora mio padre ad esempio lo ignori). Quando Luigi Centenaro parlava del “valorizzarsi” come comunicare agli altri i propri punti di forza, mi sono sentita fischiare le orecchie.
Ecco, io sono di quelle donne “d’altri tempi”, che vivono nella convinzione effettivamente inefficace (non voglio dire sbagliata, in linea di principio), che se la tua idea vale si farà in un certo senso largo da sola. Quello che è stato detto alla Social Media Week mi ha davvero fatta riflettere e questo lo trovo positivissimo. Penso sia importante mettersi sempre in discussione. Certo è deprimente, per me, la chiusa. Ci è stato affidato un esercizio pratico: bisognava rispondere ad alcune domande: l’ultima era “come cambiano o si trasformano i tuoi “clienti” (nel mio caso diciamo lettori, via) grazie a ciò che fai?”. Ecco, qui mi sono cadute le…mmm braccia diciamo.
Forse l’approccio del marketing non fa proprio per me, magari sarà utilissimo alla Ferragni per produrre le scarpe con le borchie. Io mi illudevo, forse, sul web, di creare un piccolo tassello di community. Sì perché ho sperimentato sulla mia pelle quanto la gravidanza e la maternità, oggi, siano una condizione, da un lato “estraniante” per sua natura, dall’altro troppo spesso visto come un qualcosa di quantomeno insolito, quando non da appestate o giù di lì.
E questo mi ha dato la spinta, specie dopo l’esperienza dei gruppi su facebook, a creare una piccola piazzetta virtuale, memore del mio trascorso (ho passato una prima gravidanza in estrema, triste, “solitudine” complice il trasferimento continuo, mentre una seconda gravidanza bellissima proprio grazie alle amiche “virtuali” con cui ho condiviso tutto).
Ripenso allo staff del corso pre parto all’ospedale: ci hanno congedate all’ultima lezione proprio dicendoci: “appena partorito uscite e ciacolate“. Insomma, confrontatevi con altre mamme, fatevi compagnia, non vi isolate. Ne ho viste, di mamme che si sono come trincerate nella loro nuova condizione, forse incapaci di tagliare in un certo senso il cordone ombelicale con la propria pancia, specialmente i primi mesi: io per prima ci sono passata e non è una situazione raccomandabile. Può acuire gravemente il baby blues o la depressione stessa e nel mio piccolo mi faceva piacere pensare di essere un granellino che contribuisse a fugare certi fantasmi che mi hanno quasi acchiappata. La seconda giornata, con i dati della ricerca di Fattore Mamma, parlava chiaro in termini di “rete” e mamme: nel giro di pochi anni siamo pressoché tutte connesse, grazie agli smartphone, percepiti come il device più “friendly” e strettamente personale (contro tablet e pc con cui il rapporto è più distaccato e vengono considerati più al servizio dell’intera famiglia). Insomma, noi mamme 2.0, sempre più spesso lontane dalle famiglie d’origine, con, statisticamente, poche amiche nei nostri “panni” (come ribadiva Paola Giorgi nel precedente panel, ancora il 50% delle donne sacrifica al successo e alla carriera la maternità, giudicandole incompatibili). Abbiamo intuito, più di altre categorie, in “internet”, le potenzialità come valida finestra sul mondo, un luogo virtuale solo per modo di dire, ma che in realtà annulla le distanze fisiche e accomuna per interessi. Altro che donne incompatibili con la tecnologia, insomma: il mito è completamente ribaltato, non solo sfatato. Sono proprio le donne, e le mamme in dettaglio, generalmente considerate delle specie di casalinghe sfigate, ad aver colto appieno le potenzialità del web. Oltre a rendermi felice, questo messaggio mi ha anche un po’ ritrasformato il cocchio in zucca: “serve” davvero un blog come questo? Forse arrivo tardi, forse mi illudo, io e la zia Pinuccia, che far sorridere, emozionare, informare, possano valere quanto una campagna aggressiva di ricerca trend su google o di prodotti da recensire. A questo punto, interrogare me stessa mi darà risposte fino a un certo punto e mi vien da dire: voi che mi leggete (perché nonostante tutto, ci siete: mi leggete e qualcuna mi commenta) cosa ne pensate? Del discorso in generale, ma soprattutto, dopo qualche mese di blog ho davvero bisogno di fare un piccolo punto della situazione: credete che questo spazio vi “dia” qualcosa? A livello, almeno “intangibile”? Io amo scrivere, è sempre stata una delle mie passioni, tra le più vive. Mi viene facile, quasi quanto il chiacchierare. Ma scrivere per me stessa soltanto, o comunque in modo “spontaneo”, in un mondo dominato dalla SEO, non so quanto abbia davvero un perché, un interesse e un senso. Forse è un momento di abbattimento o forse c’è un fondo di verità. Magari mi leggereste con più piacere se fossi, piuttosto, una sorta di fata madrina che vi risolve la giornata…
con una ricetta al volo per la cena, per un detersivo ecologico o per organizzare il guardaroba dei bimbi. Non voglio però “snaturare” questo blog: al massimo, in base al vostro riscontro, eventualmente, smussare qualcosa, perfezionare, limare. dare consigli più concreti (a dire il vero, ho già un mini progetto in mente per i prossimi mesi).
Insomma, ditemi la vostra!
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