Dolomiti bellunesi, Verona e Garda: queste sono state le 3 zone in cui abbiamo deciso di trascorrere in famiglia con i nostri 4 bambini 5 giorni per vedere in una prima “incursione” le bellezze così diversificate che offre la regione di fianco alla nostra: il Veneto.
Pur avendo i bambini un papà per metà veneto, infatti, l’avevamo esplorata ancora pochissimo e non sapete quanti mea culpa ho fatto lungo il percorso!
Essendo la nostra prima volta con tutti e 4, abbiamo pensato di studiare un percorso che ci desse un’idea generale del territorio: abbiamo quindi compreso la montagna (le dolomiti del bellunese), una città d’arte (Verona) e infine il lago di Garda.
Non abbiamo incluso volutamente troppo, che fossero posti molto famosi come il Parco Sigurtà, il Monte Baldo o la Valpolicella (per non parlare della zona di Venezia, anche geograficamente più lontana), perché con i parchi tematici devi prevedere una giornata ad hoc dedicata solo a loro e in quel caso conviene trovare almeno pacchetti e offerte che li “assemblino”, vi segnalo Tiqets che ne ha diversi in Veneto, oltre ad alcune mete anche culturali.



Il “guaio” è che più studiavo le potenziali mete, più uscivano meraviglie come conigli dal cilindro! Ecco perché sicuramente torneremo presto: abbiamo scoperto a due passi da casa un territorio che offre veramente bellezza per tutti i gusti.
Partiamo, in questa prima parte, dal Bellunese: io amo davvero tantissimo le Dolomiti ma per tradizione familiare, si andava praticamente sempre in Trentino, che infatti è stata anche la nostra prima meta di quest’anno per ricaricare le pile post lockdown (qui trovate il post con le nostre avventure in Val di Fassa al family hotel La Grotta).
Ero quindi molto curiosa di scoprire le bellezze dolomitiche in una zona che conoscevo davvero poco.
Per la prima tappa del viaggio, che fa parte di un progetto ampio chiamato 2 Days Play&Learn, abbiamo fatto base a Casa Rosa a Longarone: una terra di confine con il Friuli (altra zona che voglio assolutamente esplorare da tanto!) ma soprattutto perfetta per tante piccole escursioni in dintorni meravigliosi e meno snaturati dal turismo di massa (in Trentino quest’anno c’è il mondo).

Vi consiglio, per le escursioni in zona, di leggere gli archivi di Babytrekking, blog dedicato interamente alla montagna con i bambini della mia amica Azzurra oppure di portare con voi il suo libro. Da quel poco che abbiamo potuto vedere, anche la Val di Zoldo merita tantissimo.
Longarone è a pochissimo dal Cadore, che si trova appena più a nord, mentre se vi incamminate verso ovest attraverserete la Val di Zoldo. Sembra strano pensare che la mondanissima regina delle nevi, Cortina d’Ampezzo, simbolo delle vacanze “bene”, sia a soli 60 km, un’oretta di strada: nonostante non possa definirsi bello nel senso estetico del termine, come tutti i luoghi ricostruiti, questo lembo di terra ferita ha un’aura totalmente differente e pur essendo tutto nuovo sa potentemente di tempo che fu, l’ho respirato con simile forza in pochi altri posti.
Noi avevamo a disposizione solo 2 giorni per cui abbiamo fatto per prima cosa il check in con la gentilissima superhost Annalisa che ci ha accolti con un’ospitalità d’altri tempi e ci ha fatti subito sentire a casa.
L’appartamento è molto spazioso, con tutto ciò che può servire nel soggiorno e sa di buono, una vera e propria “casa della nonna” anche se lontani da casa.

Oltre al consenso unanime degli ospiti (su Airbnb vanta un bel 5 pieno dopo 36 recensioni!), segnalo che Annalisa ha già recepito tutte le normative anticovid, come certifica un quadretto all’ingresso.

Dopo esserci riposati un’oretta ci siamo diretti in centro paese (dalla casa è una piacevole passeggiata di 5 minuti a piedi) per andare al Museo Longarone Vajont Attimi di Storia, uno dei 4 luoghi della memoria (insieme alla Diga, alla chiesa di S.Maria Immacolata e al cimitero) .

Le storie non esistono se non c’è qualcuno che le racconta, perciò è giusto dire il bene e il male, raccontarlo, condividerlo, trasmetterlo.



Ho voluto citare questa frase di un sopravvissuto (è un concetto che emerge in tutte le testimonianze) perché in queste poche righe voglio fare proprio questo: parlarne, trasmetterlo anche a voi affinché la sua voce non sia sommersa dal tempo, come la povera gente dalla frana del monte Toc.
Conoscevo (o credevo di conoscere) la toccante storia di questo paese travolto da una bomba d’acqua e fango, due volte più potente della bomba di Hiroshima: mia mamma me ne aveva parlato perchè ci era passata da bambina proprio poco dopo la tragedia ma vi assicuro che visitare il museo con le testimonianze vive di chi ha vissuto sulla sua pelle quell’evento apocalittico è qualcosa di surreale che scuote e lascia il segno.

Forse non tutte sapete che sono laureata in Scienze Umanistiche con indirizzo Scienze storiche: da sempre sono una grande appassionata di storia ma soprattutto di storie, di quelle “piccole”, spesso dimenticate e senza voce (come dicevamo, è purtroppo il caso di Longarone, pur così vicino al nostro tempo), di quella che potremmo chiamare “microstoria”, formata dalle persone, dai costumi, dalle tradizioni. Non a caso sono stata anche assistente alla cattedra di Storia delle Tradizioni Popolari durante gli anni dell’Università.
Nel percorrere il museo io, Lorenzo e Costanza siamo rimasti in silenzio e con gli occhi lucidi: penso sia molto importante per i bambini non avere solo e sempre occasioni di svago ma specie un po’ più grandicelli, con delicatezza metterli anche a contatto con storie che fanno riflettere. Parlare con loro del lato “oscuro” della vita, specie in un frangente storico come il nostro è importante. Che lo facciamo o meno, loro “macinano” anche gli elementi negativi che incontrano e lasciarli soli in questo processo perché abbiamo noi per primi il tabù del male, non li aiuta a formarsene un senso.

I fatti del Vajont ci ricordano come ignorare ostinatamente i segnali che ci dà la natura per dirci che stiamo superando il limite, sia sempre foriero di tragedie e che a pagare siano sempre i più deboli e indifesi. Formare le coscienze delle nuove generazioni è il primo compito di noi genitori e quindi voglio dire grazie a Longarone per averci ricordato come si affrontano momenti così terribili con dignità e coraggio e come sia sbagliato voler dimenticare, mettere sotto il tappeto i fatti brutti di cui ci vergognamo come Paese e da cui purtroppo viene da dire che non abbiamo imparato niente.
Longarone, per la sua vocazione industriale era chiamata al tempo “la piccola Milano”, ricordiamoci che eravamo in pieno boom economico e questo fatto è forse lo scomodo esempio di rovescio della medaglia: a cosa serve il progresso, se non è guidato dall’umanità? La risposta è in quelle 1910 lamelle metalliche che ricordano le vite trascinate via più che dalla furia dell’onda, dall’ostinata volontà di guadagno a tutti i costi e contro tutti i moniti.

Nel 1960, infatti, c’era stata già una piccola frana e troppi -tranne gli abitanti- sapevano che incombeva il disastro, comprese le poche voci della stampa che avevano raccolto l’inquitudine serpeggiante non a Longarone ma sui comuni più inerpicati e vicini alla diga (Erto e Casso) come la giornalista Tina Merlin, zittita dall’informazione “mainstream” -potrei fare accostamenti con la stampa attuale, ma aprirei una parentesi che condurrebbe troppo lontano questo post, lascio a voi le considerazioni).
Se avete dei figli (direi dai 7-8 anni sono sicuramente in grado di capire benissimo) portateceli senza remore, spiegando e accompagnandoli: la storia è un antidoto potentissimo alla mancanza di spirito critico, all’incapacità di destreggiarsi in un mondo complesso e senza radici forti.
Essere cittadini del mondo non significa fare tabula rasa di quello che siamo e da cui veniamo, della nostra cultura -di cui si arriva perfino talora a vergognarsi: per volare servono ali forti, nutrite dalla consapevolezza del nido.

Confesso che dopo aver visitato questi luoghi sono andata a guardare e leggere tantissime fonti, mi è rimasta dentro e mi ha spinta a cercare notizie dell’epoca, e tutta la vicenda non smette di catturarmi.
Ogni volta che sento parlare soccorritori o sopravvissuti, è una fitta al cuore, vedo nei lineamenti dei bambini ritratti nelle foto in ospedale a Pieve di Cadore, quelli che potrebbero essere i miei figli e il cuore sanguina.

Dopo il Museo, siamo stati anche sulla diga, dove una lunghissima fila di piccoli scampoli di stoffa appesi ad una fune lungo tutto il perimetro, ricorda i 487 bambini vittime, anche quelli mai nati, gli angeli del Vajont.

Se non siete sul posto, ma volete approfondire i fatti, potete trovare online tanto materiale (qui un documentario che mostra molto del museo e non solo).
Dopo una giornata impegnativa sul piano emotivo, ci siamo ristorati con una cenetta tipica alla Trattoria Al Cervo Bianco sopra Erto vecchia (Erto e Casso sono due piccoli paesini proprio a ridosso della diga del Vajont che furono miracolosamente quasi completamente risparmiati).
Abbiamo cenato all’aperto (in questo periodo di allerta sanitaria non del tutto cessata, se il tempo è clemente, scegliamo sempre di stare fuori) in modo rustico e piacevole.

La notte è trascorsa al fresco e la mattina ci siamo diretti alla volta della gita che avevamo pensato per i bambini soprattutto: Pian di Pezzé via cabinovia da Alleghe.
Un’oretta di strada in macchina non ci ha certo scoraggiati, anzi passare attraverso lo spettacolo dei piccoli e graziosi centri abitati, le mucche al pascolo, le cascatelle silenziose e le alte conifere ci ha incantati. Veder spuntare dall’alto Selva di Cadore, poi, è uno spettacolo che da solo meritava il mini viaggio (anche se in un paio di tratti, i tornanti ci hanno provocato un pochino di mal d’auto, confesso!).
Giunti ad Alleghe, si parcheggia comodamente a pochissimi metri dalle funivie di fianco allo stadio del ghiaccio: da qui si sale in cabinovia -noi abbiamo anche infilato il passeggino aperto, è bastato salire su due cabine, in una io e i 3 grandi e in una papà con Greg).

Volendo, si può anche arrivare direttamente in macchina a Pian di Pezzé, che si trova a 1460 mt. di altitudine. Noi abbiamo voluto includere la salita nell’esperienza, i bambini l’apprezzano sempre molto! Arrivati a destinazione si apre subito una magnifica spianata verdissima con al centro un laghetto, proprio quello che ci voleva nei giorni caldissimi che abbiamo trovato.


Ally Farm è l’area attrezzata per famiglie con tanti divertimenti perfetta se avete un piccolissimo con voi. Infatti, oltre alla passeggiata interamente percorribile con un passeggino, il laghetto è così basso che anche i bebè possono divertirsi immergendoci i piedini: Greg lo ha fatto e ha sguazzato divertito -d’altronde adora anche il bagnetto e schizzare con le manine, quindi non avevo dubbi!


Il sentiero nel bosco è in lieve salita ma niente di ostico e sono davvero carini i punti dove riconoscere le impronte dei vari animali, c’è una parete per arrampicarsi, un percorso per allenare l’equilibrio, tante esperienze sensoriali, la casa delle caprette ma soprattutto il percorso barefooting che include il laghetto. Con Greg al seguito quest’anno, abbiamo optato per una meta comoda e servita che ci ha ripagati con anche panorami stupendi.





Abbiamo pranzato alla Grande Baita Civetta proprio di fronte al laghetto, anche qui all’esterno. Me la sono immaginata in inverno, perché l’interno è stupendo, abbellito da una magnifica stufa tirolese.

Ce ne siamo tornati a casa dopo ore di divertimento e relax e i bambini avevano il muso lunghissimo all’idea di andare via da quel paradiso: Ale in particolare continuava a chiedere speranzoso se l’indomani saremmo tornati!






In effetti, l’idea di passare dal fresco e dalla bellezza naturale di queste splendide montagne e della sua gente così accogliente alla sicura calura della città, non è che arridesse troppo nemmeno a noi ma invece…invece eccoci in macchina, alla volta di Verona con tappa al Museo etnografico di Belluno che mi aveva molto incuriosita qui.
Purtroppo lo abbiamo trovato chiuso perché nel fine settimana apre solo su appuntamento, probabilmente per effetto Covid19 ma non era segnalato da nessuna parte, peccato davvero perché prometteva molto bene.

Per sapere com’è andata leggete la seconda parte dedicata al Children’s Museum.
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