La notizia di oggi sul Corriere è servita e data in pasto bella bollente come il caffè: Starbucks apre (finalmente, dopo anni di sì-no-forse-magari) anche da noi, in Italia.
E dato che non mi piace polemizzare su questioni serie, tipo i vaccini, vi dico la mia su questa roba per hipster e lobby dei baristi che fa stracciare le vesti a destra e a manca. D’altronde ormai lo sapete che sono discretamente caffeinomane.
Sono anni che su feisbuk e social siamo invasi di vip e tamarri emulanti che ce la menano con ste passeggiate wannabe newyorkese annaffiate di beveraggi take away.
E’ un fenomeno di costume: le orde dei ragazzetti in Erasmus si fiondano da Starbucks a farsi foto (pardon, selfie) con in mano il mitologico bicchiere di cartone. Chissene se costa quanto un pranzo o se è acqua sporca. Nondimeno è “the place to be”.
A me Starbucks piace, ve lo dico subito. All’estero una mini tappa ce la faccio sempre ma non so se e quando ci andrò se, come pare certo, sbarcherà sui nostri lidi. Intanto posso però dire, inter nos, che me la rido di gusto a leggere nell’ordine:
- commenti delle lobby di commercianti terrorizzati dallo spauracchio: “Il caffè diventerà una schifezza imbevibile e costerà 2.50 a tazzina!” “gli yankee ammeri-cani metteranno in ginocchio in sei mesi l’economia più florida del Paese”.
- commenti dei summenzionati hipster, neo-yuppies, zarri da vasche in Duomo in un unanime entusiastico coretto di approvazione esterofila: “era ora” “mancava solo qui” che si fregano le mani e mettono già ora in carica l’iphone.
- commenti di stampo affaristico sulle trattative e le capacità imprenditoriali di Percassi che è riuscito ad espugnare tutte le diatribe e trovare un accordo.
Io me la rido, appunto. Leggo come se guardassi il solito teatrino all’italiana e penso siano le facce di un’unica, inscrollabile e secolare medaglia: il nostro bieco provincialismo. E’ vero che Starbucks anche all’estero “fa figo”. Ma in nessun Paese come il nostro assume questa aura di status symbol, che sia in senso negativo o positivo. Continuiamo a vivere di stereotipi, ci piacciono perché sono rassicuranti, specie in tempi di massima incertezza su tutti i fronti. Preferiamo confrontarci con dei quote banalissimi sui social che su qualcosa che faccia riflettere o anche solo intrattenere ma con garbo. Insomma, io sto con “Mami” di Rossella O’Hara, in questa come in faccende simili. Portavoce del buonsenso contadino ma arguto di una volta, ormai in via d’estinzione ma mio faro nella notte, sapevatelo. Qualunque battuta proferisca durante i centottanta-e-qualcosa minuti sono da incastonare e affiggere tipo manifestini. Per ora dirò solo:
Cari italiani, ex popolo di santi, navigatori, artisti ed eroi…
E se lo dice lei…
Torniamo al nostro plot iniziale -peccato, però, Mami era più divertente- insomma: io sto al centro, saranno i miei natali romani, a metà stivale, che mi hanno infuso una certa dose di sano pragmatismo latino. Io da Starbucks ci andrò, magari in orario da ufficio e certo non all’inaugurazione-o-giù-di-lì. Non mi sono fatta i chilometri di coda al padiglione Giappone, né alle limited edition di H&M con Marni o Sonia Rykiel o al concerto dei take that da teenager. Ma non mi piace nemmeno fare la snob senza un perché, per puro spirito di contestazione. Starbucks mi piace: sia i dolciumi anglosassoni più pesanti di una tranvata sulle budella, sia l’ambiente dal design industrial e l’atmosfera chill out e cozy. La mia metà canadese, di quando in quando reclama cotanto cibo barbarico e divanetti di pelle con in sottofondo cosette del genere:
(true story, sentite nello Starbucks di Lisbona)
Veniamo ai punti. Andare se?
- Non ve ne frega molto della brutta e sporca globalizzazione e Mac Donal’d non è il demonio.
- Amate i sapori americani (pesantucci e stucchevoli, bisogna ammetterlo, ma io davanti ad una carrot cake non capisco più molto)
- Non dovete fare gli strilloni alla fermata della metro per pagarvici la puntatina.
- Siete disposti a fare a cazzotti con l’emo di turno. A dire il vero la prospettiva potrebbe anche indurmi a presenziare l’apertura.
- Siete consapevoli, come la sottoscritta, che andare una volta ogni tanto lì non vi impedirà di apprezzare il baretto sotto casa o il caffè in stile belle epoque. Infatti quando sono stata all’estero, ho fatto le mie pause o merende indifferentemente lì o alla bancarella locale che faceva waffle bio sul momento o alla pasticceria storica. Francamente non capisco come una cosa escluda l’altra.
Peraltro a Milano esiste anche il cugino “sfigato”, Arnold’s, che propone stessi arredi e stesso menù, praticamente, soprattutto un mood retrò ’50s. E’ solo meno blasonato, diciamo. E ammetto che la carrot cake presa lì mi ha fatto stare maluccio. Invece posso dirvi che a Hong Kong, dove sono stata ormai un decennio orsono, si trova un posticino delizioso che somiglia sempre molto al nostro. Sarà che lì sono cinesi per modo di dire e che ci siamo più volte imbucati in pub con birre e cameriere dall’accento british impeccabile, fatto sta che hanno tal catena “Pacific coffee company” (però, bimbi, dovete lavorare di più sul sito istituzionale), sempre con wifi gratuito (vi parlo del 2005, peraltro), cibarie sia nordiche che anche frutta e succhi freschi più esotici. A me era piaciuta tantissimo, e ovviamente non c’era casino o aura di luogo “cult” intorno, una specie di Starbucks epurata dei lati negativi.
Giudicate voi stessi i loghi. Se escludiamo il mancato rimando grafico immediato al caffè del nostro, hanno le stesse forme tondeggianti, font e colori stile Happy Days.
Ovviamente, stare alla larga non è mica proibito. Dico solo che capisco il farlo per motivi raziocinanti, non per moda o antimoda. E voi come la vedete? Resistere o cedere alle lusinghe della sirena a due code?
9 Comments
Ecco, appunto. Anch’io ci vado quando sono all’estero… Torno in Polonia, mi faccio un mega giro in un mega centro commerciale… E per fare una pausa nello shopping entro da Starbucks per prendermi uno dei loro strabuoni, straricchi di calorie, stradolci frappuccini. Non lo faccio tutte le settimane, né tutti mesi – una volta all’anno. Si può fare no? Un piccolo peccato di gola non ha fatto male a nessuno :-)))
Esatto, per me è tipo il Mc come discorso…
Io vivo all’estero e mi capita spesso di andare da Starbucks a bere un mochaccino o altro, come da Paul o Costa Coffee. Per me rimane un luogo come un altro per bere qualcosa in compagnia di amiche. Credo che in Italia farei la stessa cosa!
appunto, io non capisco tutto questo clamore, onestamente!!
io ci sono stata solo una volta e l’ho adorato….. no capisco tutto questo scalpore…….
io ci andrei !!!!!! così come a volte vado al mc con i bibmi!!
<3
anche io, ma da noi se non si polemizza non siamo mai contenti. Trovo francamente assurdo sia chi lancia maledizioni sia chi ha accolto la notizia tipo sacro graal. Allucinante come una questione alla fine strettamente legata alla “moda” generi tutto questo delirio…
Se mi capiterà di passarci ci andrò, come mi è capitato in altri paesi.
Ma devo ricordarmi di non ordinare mai nulla il cui nome cominci per “Double chocolate…” perchè non ce la faccio, ci provo ma non ce la faccio!!
ahah alcune cose sono bombe al plutonio!!
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