Ho tre figli: quando lo dico in giro tutti mi prendono per una mattacchiona (ma anche per una ganza, dai, in fondo io la penso come Olga).
In effetti, io stessa a volte guardando la situazione dall’esterno, mi do della mattacchiona da sola: io ero la classica ragazza che aveva una bella dose di rifiuto della maternità intesa come quella situazione in cui improvvisamente sfogli libri di fotografie con neonati narcotizzati, infilati in ceste bucoliche con le chiappe al vento e le coroncine di foglie in testa. Oh, a me avevano traumatizzato, se ci ripenso mi facevano quasi impressione, tipo quegli shock infantili in cui sei davanti alla tv placida e tranquilla e improvvisamente mentre fai zapping incappi nella scena in cui IT spalanca le fauci e si profonde nel suo “galleggiano tutti Georgie”.
Oppure le sfilze di angioletti di Thun. Bellini eh, ma diabetici e, ai miei occhi, il corrispettivo mammesco del concetto “vuitton-il gioiello pandora-charm con doppia c di chanel”, triade sogno proibito della coattella wannabe di 20 anni.
Forse è per questo stesso istinto che non sopporto le faide mammesche, le piccinerie di tanti gruppi di mamme on e offline. Non so che dire, forse il mio concetto di maternità va da qualcosa di così alto che è quasi metafisico, fino all’estremo opposto, “animale”: queste due nature si fondono misteriosamente in un’unica esperienza. Non esiste al mondo niente come questo binomio quasi miracoloso e invece sembra che in fondo, per molte, si riduca tutto a qualcosa di stereotipato, non vissuto profondamente. Quando me ne accorgo, che per alcune l’essere diventata mamma è stata una parentesi in fondo poco significativa, qualcosa in me si ribella. Perché dopo pochi mesi si vuole tornare esattamente “come prima”? Alle dinamiche infantili che in una ragazzina sono giustifcabili, molto meno in una donna che ha trasmesso la vita? Avverto un’amarezza che non so spiegare, come di fronte ad uno spreco indecente di un tesoro prezioso.
Non facciamoci lambire dalla maternità: è una magnifica rivoluzione che scardina per ricreare. Un tuffo senza salvagente in un oceano senza confini. Abbiamo a disposizione l’infinito, e ci limitiamo a sguazzare vicino alla riva.
4 Comments
Era da un po’ che non ti leggevo, in realtà che non mi soffermavo su un blog post serio. Sono satura di quei blog e gruppi che parlano della maternità con leggerezza o esagerata pesantezza, che sviscerano la questione e che danno consigli non richiesti.
Sono d’accordo con te e per quel che mi riguarda da quando sono diventata mamma sono rinata, essere mamma mi ha reso una donna migliore, mi ha fatto riscoprire la vera Me, la Valeria Creativa è nata con i miei bimbi. Insieme alle mie belvette, come dico sempre. Ne ho due, non tre, spero che valga per entrare nel gruppo speciale di mamme come te e Olga che fanno della maternità un punto da cui partire, una nuova sfida ogni giorno, una dose infinita di amore quotidiano, un tuffo sull’oceano…
Con grande stima e affetto, Valeria
Vale, mica è una questione di numero: io ci metto l’accento perché fino a due in fondo questo meccanismo era scattato in me fino ad un certo punto, ma lo vedo intorno a me, che a molte magari basta anche una volta per innescarsi. La maternità per me è il paradigma più forte di questo processo, ma non ha l’esclusiva. Può succedere sicuramente anche dopo altre esperienze di vita. Credo che tutto stia a cercare di non vivere in superficie e prendere tutto il buono possibile dalle situazioni. Come sai, la stima e l’affetto sono più che reciproche :*
“Un tuffo senza salvagente in un oceano senza confini. Abbiamo a disposizione l’infinito, e ci limitiamo a sguazzare vicino alla riva.”: credo di volermelo tatuare sul braccio per rileggerlo ogni volta che mi sento che non ce la posso fare. Che dici, c’entra? MAGNIFICO!
è la sensazione che provo dentro di me ogni volta che mi sento mamma 🙂 è incisa, tatuata indelebilmente nel cuore. Però in effetti un reminder fisico non è una cattiva idea!! Grazie Ila :*