Riprendo il tema del parto per l’ultima “puntata” (almeno per ora!) e voltandomi indietro guardo a come i miei tre siano stati lo specchio della mia maturazione e “preparazione” mentale, per quanto possibile -quando mai si è davvero “pronte” per qualcosa di tanto miracoloso come una nascita?!
Il mio primo parto è stato una vera e propria operazione: zero travaglio, ricordo solo cannule, mascherine e luci al neon. E lo sbigottimento dei ginecologi e anestesista nell’accorgersi che io, quel cesareo non lo apprezzavo per niente come sembravano aspettarsi. Quando alla terza ecografia di controllo, la flussimetria, mi dissero candidamente che Lorenzo era podalico, mi fu detto “signora, cominci a prenotare il cesareo, sarà molto difficile che si giri a questo punto”. Tralasciando il discorso che sono stata io sfortunata, ma è davvero assurdo dire ad una primipara qualcosa del genere, (dato che era oggettivamente presto), quello che mi lasciò davvero sgomenta fu quel “prenoti”, come se si trattasse di una cena al ristorante, che se non mi spicciavo, loro mica mi tenevano il posto. La mia faccia dev’essere stata particolarmente eloquente, perché il primo si affrettò a dirmi. “fa sempre in tempo a disdire, se nel frattempo dovesse girarsi”, mentre l’anestesista, un genio di umanità ed empatia, mi apostrofò: “ma come, non sa quante donne pagherebbero per non fare il naturale?!” Io all’epoca ero davvero una ragazzina: appena sposata e trasferita lontano da casa, avevo scoperto di aspettare Lorenzo che ero di quasi tre mesi (avevo avuto due falsi cicli!) e mi ero trovata praticamente catapultata in una situazione così estraniante che mi sembrava stesse succedendo a qualcun’altra. Insomma, io figli ne volevo ma mica ci pensavo, che arrivassero così al volo, sentivo intorno tantissime storie di attese infinite e tentativi a vuoto. A mio marito sospettavano pure il varicocele e io avevo le ovaie multifollicolari che mi avevano detto: “potresti fare più fatica ad restare incinta”. Ah beh, pensa se stavo bene, magari ne facevo con un bacio sulla guancia, tipo le ragazzine preoccupatissime su Top Girl e Cioè. Insomma, io non ero “pronta” e secondo me nemmeno Lory aveva tanta voglia, anche se, da dispettoso folletto qual è tutt’ora, ha rifiutato di girarsi persino con la manovra di ostetriche esperte come al San Gerardo di Monza, e ha fatto lo scherzetto finale: due notti prima della data fissata per l’intervento ho rotto le acque. Io ero a Roma, mio marito era in Toscana quell’ultimo periodo e così rischiò di perdersi suo figlio che nasceva: arrivò proprio mentre venivo trasportata in barella in sala. Ero diventata mamma? Non so, sicuramente lo diventai dopo, nel tenerlo in braccio e pian piano che ci “conoscevamo”.
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Il mio secondo positivo è stato cercato, arrivato anche qui subito, il tempo di desiderarlo. La mia piccola, per tutta la gravidanza, è stata lì tranquilla, in uno dei periodi più felici della mia vita. Mi ha consolata di tutte le difficoltà della volta precedente: in posizione fin dal quarto mese, sono arrivata alla scadenza in una nuvola rosa. Stesso copione della volta scorsa: a 40 settimane spaccate ho rotto le acque ma sono stata di nuovo un po’ frettolosa nell’andare in ospedale. Credo che sotto sotto avessi paura, stupidamente paura, di non saper partorire. Avevo scelto la struttura che mi aveva assistito alla manovra con Lorenzo, l’ospedale di Monza, famoso per favorire i “vbac”, appunto. Pur non essendo riuscita la manovra, mi aveva colpita positivamente la gentilezza e la disponibilità delle ostetriche che, sentita la storia della mia “gita” da Roma per tentare l’ultima carta, si erano prodigate all’inverosimile. Scelta azzeccata: dopo 24 ore le contrazioni erano sì, presenti -avevo iniziato anche a dilatarmi senza dolori- ma non erano regolari ed efficaci. La dottoressa al controllo mi disse che essendoci però dei palesi segnali di travaglio comunque imminente mi avrebbe fatto una dose proprio minima di gel. Dopo un’oretta di contrazioni regolari ma blandissime, di colpo sono partite quelle toste da piegare in due. Mi hanno portata in sala parto direttamente, visto anche il tc pregresso, e mi ha assistita un’ostetrica molto dolce che mi ha incoraggiata quando credevo di non farcela. La piccola aveva veramente fretta di nascere, era pronta da sempre e io questo “lo sentivo”. In quegli attimi era come se il mio travaglio procedesse parallelo al suo, come se davvero fossimo una cosa sola, unite nello sforzo comune. E all’improvviso, tre spinte ed eccola lì, la mia biondina. Una sensazione indescrivibile: quella che avevo sognato e di cui mi ero sentita derubata. Lei, subito deposta sul mio petto, pelle a pelle col suo profumo di buono, inconfondibile. Mi sono sentita una forza invincibile, che non c’entra niente con quella smania di potere e di controllo che conosciamo, figlia di “questo mondo”, ma come un’iniezione di fiducia in me e lei, che tutto è davvero possibile. Il dolore di pochi istanti prima non dimenticato, ma come “velato” da quello che era venuto dopo. Stavolta ero già mamma, ma ero passata come Ercole attraverso una prova iniziatica, ora ero una mamma nuova.
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L’ultima volta l’ho affrontata con la piena consapevolezza di me. In fondo sentivo solo vagamente il tarlo di un travaglio mai partito da solo, ma era qualcosa di sotto controllo. Il parto precedente mi aveva dato una sicurezza ai limiti della spavalderia e aspettavo il parto con un misto di desiderio e fatalismo. Con l’ebrezza di un bambino che attraversa il tunnel degli orrori al luna park sapendo che i mostri sono finti e lui non li teme. Fino alla sera stessa ho macinato attività su attività, instancabile nonostante i fisiologici acciacchi. La mia sensibilità di gestante era al culmine, dopo settimane di contrazioni “false” che duravano da troppo. La mattina del secondo controllo a termine mi alzai di buon’ora per prepararmi: uscita dalla doccia mentre finivo di sistemarmi sentii un “colpo” sordo e abbastanza violento: una contrazione, diversa però. Beh, pensai, ho il controllo, al massimo andrò in pronto soccorso anziché in reparto. Per tutto il percorso le contrazioni continuarono ma appena messo piede in ospedale…puff, sparite, per mia somma vergogna. Dal controllo comunque, come la volta precedente ero già dilatata a livello passivo e dovetti insistere per farmi dimettere, la ginecologa mi disse che non sarei arrivata al controllo successivo e mi avrebbe volentieri trattenuta. A posteriori, anche qui, scelta felice. Dopo due giorni di docce calde, passeggiate, scale e quant’altro in cui ero tornata ad una situazione di inquietante calma piatta e iniziavo a supplicare lo scollamento delle membrane, ad un certo punto mi sedetti e mi dissi “basta, è comunque questione di giorni, andrà come deve andare, meglio godersi queste ultime ore, per cui…” mi sono data al cazzeggio, letteralmente. Ho staccato la spina dalla questione parto, mi sono guardata video stupidi su Youtube, mi sono fatta una passeggiata con shopping per i bimbi. Dopo questa passeggiata con mio marito, tornata a casa mi sono sentita strana. Tutto il giorno ero stata piena di energie, mi sentivo tornata al quinto mese da quanto ero pimpante. Adesso era come se di botto, quell’incantesimo si fosse spezzato e fossi ripiombata nella pesantezza del nono. Dolorini, fastidi vari, decido di mettermi a riposo. A notte fonda mi sveglio con una strana sensazione. Ho rotto di nuovo le acque! Ho camminato per il salone al buio per un bel po’, poi mi sono detta: “stavolta non vado se non ho le contrazioni regolari”, per cui niente, dopo essermi accertata che il monello dava i soliti calcetti della salute, mi sono rimessa a letto con un super assorbente, dicendomi che era meglio raccogliere le forze per il momento in cui sarebbero servite. Alle 6 di mattina mi sveglio di soprassalto con una contrazione molto simile a quella della mattina del controllo. Inizio a monitorare. Ogni 7 minuti ne arriva una, poi un paio ogni 5 ma dopo un po’ una dopo 10. Mi dico che sono troppo sporadiche, che è un falso allarme come pochi giorni fa. Si svegliano i bimbi e preparo la colazione, li vesto: uno a scuola e una dai nonni. Proprio mentre li saluto alla porta una contrazione fortissima che mi piega in due. Mi affretto a “nascondermi” e continuo a controllare: sono ogni 5-3 minuti e hanno un’intensità molto maggiore, anche se ancora gestibilissime. Dopo una mezzoretta però decido di avviarmi, sono sempre più ravvicinate. Arrivo in ospedale: ho rotto il sacco in alto (come le altre volte) e mi smanacciano in tre per capire bene la situazione, mi becco i complimenti per la trasmissione ehm, visita (?) e iniziano a farmi le domande di rito per compilare la cartella del ricovero, “tanto è al primo figlio”, mi dice la tizia alla scrivania….”che primo?? E’ il terzo!! Portatemi subito in sala parto o nasce qui!” urlo. Devo essere stata convincente perché arriva la barella. Inizia la parte tosta degli ultimi 2-3 cm, ho urlato fino ad avere la voce abbassata, ma ho dato fondo a tutte le mie forze, come un atleta, direbbero le ostetriche. Nel mentre ero lucida. Ecco la grandissima differenza anche con il naturale ma indotto. “Sentivo” il dolore e lo accettavo, in un certo senso “domandolo”. Non ho supplicato droghe come con Costanza, né ho perso coraggio. L’ostetrica che mi hanno mandata in fase espulsiva mi ha guidata con grande esperienza, aiutandomi a far tutto senza un punto (la volta prima ne ho avuti diversi). Alessio è venuto al mondo, finalmente, e ho potuto stringere anche lui, dicendogli: “se dovessi avere un altro fratellino, quasi quasi lo faccio a casa!”
Questa la mia esperienza. Rifarei tutto: ho potuto accudire i bimbi senza la ripresa lenta e comunque più delicata, del cesareo. Ma soprattutto ho conosciuto fino in fondo la meraviglia di quel vero e proprio lavoro comune, tra mamma e bimbo. L’ultimo momento in cui, davvero si è una cosa sola; il valore del viaggio verso la vita, oltre che della meta. Auspico la stessa sorte a tutte le mamme, che possano vivere appieno quei momenti unici, se le condizioni lo consentono. Non voglio demonizzare il cesareo salvavita, ma questa è la sua funzione e tale dovrebbe restare, non un abuso o un’alternativa come un’altra. Credo fermamente che molte donne non ricevano assistenza e informazione adeguata come ho avuto io la fortuna, e questo è veramente triste perché le deruba di qualcosa che non conoscono e le espone a rischi non necessari. Un grazie speciale va a mio marito che mi ha appoggiata e alle bravissime ostetriche che mi hanno assistita: dovrebbe essere la normalità e invece in Italia sono ancora un’eccezione troppo, troppo spesso.
11 Comments
confermo il mio terrore nell’affrontare una gravidanza 🙂 comunque sono tre topini adorabili ♥
grazie! Ma vedrai che con lo spirito giusto passa la paura!! 😉
Che carini! E grazie per condividere queste esperienze.
CHE EMOZIONE LEGGERE DEI TUOI TRE PARTI, SPECIE PER ME CHE SONO MAMMA DA OTTO MESI e che il mio lungo parto ancora non l’ho dimenticato, anzi lo sento ancora vivo sulla pelle e su tutto il resto del corpo.
Mary, altro che diamanti, un parto è per sempre 😀 Scherzi a parte, non credo si possa mai dimenticarlo, nel bene e nel male!
Sono mamma di tre pargoli e come te ho vissuto i tre momenti differentemente l’uno dall’altro…………… fortunata ho incontrato persone qualificate e professionali.
Grazie di averlo condivido.
è incredibile che sia una specie di privilegio (e pensare che io sto parlando di un ospedale pubblico, non certo di una clinica privata da vip!), ho scritto il post anche per contribuire a diffondere più consapevolezza su questo argomento ancora tabù in buona parte dello stivale 🙁
Sono una mamma adottiva ed ho quindi letto avidamente….certo….madre si diventa nel cuore, come dici tu con il tempo, quando ti mettono in braccio il frugoletto….per me è stato così…grazie infinite per il tuo racconto e un abbraccio grande!
brava lucia, essere mamma nasce dal cuore, dall’amore e dalla dedizione per i nostri piccoli, la pancia è un “di più”, in tutti i sensi!! 😉
Cara avrei tanto da dirti. Iniziamo dal primo paragrafo: sai che anche a mia sorella per la seconda gravidanza le avevano raccontato la favoletta del podalico e che doveva fare per forza il cesareo? Glielo dissero che ancora non era entrata nell’ottavo mese! A quei tempi ti tagliavano per sport! Quindi quello che racconti mi fa rabbia. Poi sorrido quando parli del momento in cui ti si sono rotte le acque, stessa cosa è successa a me e forse per ansia di vedere il suo visino ho preso armi e bagagli e sono andata di notte in clinica (era mezzanotte). la mia storia è un po’ lunga ma sapere che persone che conosci (anche se virtualmente) possono testimoniare che si può sperare in un parto naturale è meraviglioso! Io odio quei dolori, già ho dovuto fare un intervento in cui l’utero non è stato toccato ma è stato doloroso, e la cosa più brutta è che non puoi ridere o allattare bene il tuo bimbo e se piange di notte non sei in grado di correre subito da lui. Sei stata forte e credo anche fortunata e ti ringrazio per questa testimonianza, darai una speranza a molte donne. (anche se la cosa più importante è tenere tra le braccia finalmente il tuo piccolo)
cara samanta, io ero decisa, è vero: ma come dici tu, ho avuto anche la fortuna di un grande sostegno, cosa che manca a tante donne. E anche a me fa rabbia leggere le ferite fisiche ed emotive che potevano essere evitate, bastava solo umanità e attenzione, perché una gravidanza è un momento di forza ma anche di immensa fragilità e una donna si sente spesso il vuoto intorno. Se poi ci si mettono anche medici e parenti….io poi ho fatto un cesareo che era per quel motivo specifico, essendo la seconda cefalica è stato pià “facile” lasciarsi l’operazione alle spalle. Al terzo parto ormai conoscevo così bene il mio corpo che ho saputo ascoltarlo e assecondarlo alla perfezione, ma ci sono voluti tre figli, figuriamoci al primo!! Spero davvero che tutte le mamme che mi leggono possano trovare un motivo di speranza, io ascolto con particolare piacere le storie di ognuna e sono qui per qualsiasi sfogo/consiglio…un bacio :*