È un cliché arcinoto: le donne sarebbero tendenzialmente più competitive e meno propense degli uomini a fare cameratismo (ma, il risvolto è che non fanno neanche “branco” mi viene da dire). L’ambiente digitale non è poi così virtuale come si crede: rispecchia in tutto e per tutto i vizi e le virtù del reale, e nell’esperienza comune di tante donne -mamme in particolare- il web ha assunto quella funzione aggregante che un tempo era prerogativa della “piazza” di paese. Se possibile, la spinta alla solidarietà è ancora più potente, perché procede per interessi e situazioni comuni, operando una sorta di “preselezione” nel formare i gruppi. Un altro aspetto caratterizzante è l’abbattimento delle distanze, a volte anche transoceaniche, contribuendo in maniera straordinariamente concreta ad avvicinare esperienze, culture e profili personali che altrimenti non si sarebbero mai lontanamente sfiorati. Se non si considerano questi due elementi, risulta difficile comprendere come la rete abbia oggi, letteralmente ribaltato, più che sfatato, diversi miti legati alle donne. In particolare l’inconciliabilità dell’universo femminile con la tecnologia (non sono poi così lontani i tempi delle vignette umoristiche in proposito!) e, procedendo da questo, la suddetta incapacità delle donne di solidarizzare e fare fronte comune.
Fattore Mamma, leader del settore, coadiuvata da Gnresearch, ha presentato, il 25 febbraio alla Social Media Week, in anteprima, i dati di un sondaggio a tappeto sul livello di digitalizzazione negli ultimi 5 anni, delle donne e delle mamme in Italia. I risultati sono estremamente significativi: 9 su 10 sono connesse via smartphone, a fronte di un 56% nazionale. Oltre ai numeri, si è ragionato sul rapporto con i diversi device: si è passate da una subordinazione verso il pc fisso o il portatile, ad un’interfaccia paritaria rispetto al tablet e addirittura “confidenziale” con lo smartphone, definito una “piacevole dipendenza”. Questi supporti vengono poi percepiti come un insostituibile sostegno nell’ ottimizzare organizzazione e gestione di appuntamenti e impegni dei figli, dell’economia domestica (pensiamo all’home banking e allo shopping online, unico a crescere esponenzialmente anche in tempi di crisi in cui i negozi fisici sono costretti a chiudere i battenti). Il web rappresenta anche una risorsa per chi vuole reinventare e ripensare il lavoro: opportunità e contatti per chi vive da freelance e ambisce alla flessibilità e autogestione del proprio tempo, per le creative digitali, per chi scrive e può partire dagli e-book anche da emerita sconosciuta. Insomma, il mondo al di là dello schermo, lungi dall’intimidire le donne, come capitava in un passato dominato dai “nerd” al maschile, reduci di ingegneria e smanettoni per passione personale, appare sempre più luogo privilegiato per esprimere quelle che sono caratteristiche squisitamente “donna”: la comunicazione e il multitasking.
Sul fronte “social”, una delle blogger più famose, Chiara Cecilia Santamaria, alias Machedavvero , descriveva già diversi anni fa, agli albori del fenomeno di rivoluzione digitale rosa, una scena esilarante che è diventata famosa anche grazie al libro di carta stampata “Quello che le mamme non dicono”. Lei, neomamma un po’ impacciata nel proprio ruolo ancora non perfettamente assimilato, porta a spasso la figlioletta al parco giochi e si aspetta ingenuamente che il capannello in cui si imbatte sia amichevole: in fondo siamo tutte sulla stessa barca, no? Ma ecco che invece si scontra con l’amara realtà: le mamme non sono esseri sovrumani, eccezionalmente benevoli verso le new entry, solo per lo status condiviso. La smorfiosa primadonna del liceo rimane tale, anzi, pare ulteriormente inacidita dall’essere prole dotata. La “piazza” di una volta, tradizionale (cosa c’è di più naturale e easy di un parco giochi?!) perde il suo scettro, in favore di quella immateriale del web, che ne esce decisamente vincitrice: qui le mamme si spalleggiano, fanno networking, quasi lobby. Certo, le rivalità non spariscono con un colpo di bacchetta magica, ma sembrano più evanescenti e innocue, dietro la tastiera. Mi è capitato in prima persona, in tre anni di esperienza: i gruppi nati su Alfemminile e -in seguito- cresciuti su Facebook, si sono rivelati un sostegno fondamentale nelle mie ultime due gravidanze e postparto. La condivisione di preoccupazioni legate non solo alla maternità, ma alla femminilità a tutto tondo (il rientro al lavoro, ad esempio, o il bisogno di “staccare” e svagarsi), è arrivata a livelli insospettabili. Potrei citare decine di esempi in cui ognuna delle decine di donne che ho conosciuto ha messo del suo, in prima linea, per risolvere problemi di altre, ha perso tempo dietro agli sfoghi di chi aveva bisogno di una parola amica, o a creare qualcosa di bello. Basti pensare che si organizzano raduni, aperitivi, caffè insieme: il virtuale è, in molti casi, un trampolino per una conoscenza e un’amicizia o persino sodalizi lavorativi. Un episodio degno di menzione è stato per me il raduno nazionale in cui sono convenute a decine nella capitale, fin dalla Sicilia e dalla Sardegna. A livello di formazione e socializzazione, si tiene due volte l’anno il “Mamma che blog”, iniziativa che coinvolge le donne protagoniste della rete, le famiglie, ed è occasione di crescita professionale e umana. Quando poi, come purtroppo nel nostro Paese avviene ancora troppo spesso, una “di noi” si è vista derubare di una carriera anche relativamente solida per via di “problemi familiari” (l’aver messo in cantiere un figlio, come è successo proprio nei giorni scorsi su Una Mamma Green), l’indignazione si è sollevata unanime sia tra i commenti che in articoli di risposta, e la denuncia è servita come sostegno e incoraggiamento, ma talora anche come ricerca di aiuti e soluzioni pratiche vere e proprie. E pensare che esiste ancora qualcuno per cui “internet” rappresenta unicamente un luogo di perdizione e di maniaci in caccia di baby prede! L’auspicio, per questo 8 marzo, è che queste felici premesse possano perfezionarsi e soprattutto essere finalmente colte nella loro portata rivoluzionaria, anche dalle realtà statali: nell’economia, nella politica, a tutti i livelli, dalle iniziative nazionali fino a quelle comunali o di quartiere. Che se ne servano come un valido supporto laddove non sempre è possibile arrivare e operare efficacemente: possono riempire vuoti altrimenti terra di nessuno.
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